Alcuni non appena sentono la parola fatidica saltano in aria come se avessi offeso loro la madre. “Il ponte sullo Stretto? E’ roba da mafiosi, un’opera inutile e faraonica che servirà a rimpinguare le casse di Cosa Nostra e delle ‘Ndrine calabresi, un eco mostro che verrà giù alla prima scossa”, ti rispondono. Tutto da dimostrare, ovviamente. Perché non realizzare quest’opera potrebbe far comodo a chi vuole mantenere il monopolio dei traghetti, gestito dalla famiglie Franza e Matacena (sulle quali non faremo alcuni insinuazione, ci mancherebbe. Le conclusioni, però, traetele da soli), deludendo chi da molto lontano ha chiesto l’aiuto della tecnologia italiana per realizzare un Ponte sullo Stretto della Sonda, in Indonesia.
Ma al di là delle malelingue e dello scontro bipolare tra fautori dell’opera e oppositori accaniti, c’è un aspetto che allarma e non poco in un paese, l’Italia, dove la credibilità internazionale è ancora flebile e gli investimenti stranieri troppo esigui rispetto alla reale necessità. Eventuali decisioni negative sulla prosecuzione dei lavori per la costruzione del Ponte, infatti, determinerebbero, oltre le penali che lo Stato dovrebbe pagare al contraente, “significative ricadute sulla perdita d’immagine e di credibilità della Società e del Paese”. Con il risultato che vedremmo fuggire gli ultimi investitori stranieri disposti ancora a credere nel nostro paese.
A lanciare l’allarme è stato Pietro Ciucci, amministratore unico dell’Anas e amministratore delegato della società Stretto di Messina, nel corso di un’audizione presso la Commissione Lavori pubblici del Senato, svoltasi l’altro giorno. “L’Opera – si legge nella relazione depositata agli atti dallo stesso Ciucci – in quanto connotata di caratteristiche di assoluta singolarità ha acquisito notorietà, nel tempo, nella comunità scientifica internazionale. Ciò ha agevolato la creazione di relazioni all’estero che hanno conosciuto recenti ed interessanti sviluppi”.
Apprezzamento che ha prodotto dei risultati, perché “alla realizzazione dell’Opera concorrono compagini francesi, spagnole, giapponesi, americane e danesi che certamente trarrebbero facili considerazioni sull’opportunità di perseverare negli investimenti in Italia, con conseguenti riflessi sul cd. “sistema Paese”, mentre si potranno avvalere delle esperienze e delle conoscenze acquisite nel percorso di studio e progettuale svolto per arrivare alla stesura del progetto definitivo del Ponte”.
La notizia, sotto questo punto di vista, è passata ovvimanete in sordina. I grandi giornaloni italiani hanno dirottato l’attenzione su altri aspetti della vicenda, come ad esempio la disponibilità di un fondo d’investimento cinese a concorrere nella realizzazione del progetto, mentre i blogger, twitter e gli altri social media hanno ignorato il tutto, concentrandosi sul fenomeno da baraccone delle elezioni Usa. Eppure ci dovremmo preoccupare. La questione è delicata e a rischio c’è il futuro e la credibilità del paese.
Ponte sullo Stretto
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