«Scopelliti in FI? Scelta
obbligata»
La (nuova) svolta moderata del governatore spiegata dall'ex senatore Renato Meduri, uno degli ultimi esponenti calabresi di destra fedele alle proprie origini
Renato Meduri è uno della
vecchia guardia, tra quelli che ha vissuto gli anni della destra dura e pura,
il Movimento sociale italiano dei tempi almirantiani, l’asprezza delle
battaglie di quando il politicamente corretto non esisteva. La sua carriera politica
ha inizio tra i banchi del consiglio comunale di Reggio Calabria, appena prima
che esplodessero i Moti che incendiarono la città dello Stretto, agli inizi
degli anni Settanta.
Di quella rivolta fu uno dei protagonisti e abbandonò gli scranni dell’assemblea
cittadina come segno di protesta quando il ruolo di città capoluogo fu
assegnato a Catanzaro. La sua militanza gli aprì le porte a importanti
riconoscimenti all’interno del partito e presto fu eletto consigliere
regionale. La sua carriera politica conobbe un salto di qualità all’indomani
della morte di Ciccio Franco, di cui in qualche maniera era indicato come
l’erede ideologico. Infatti aumentò e si sedimentò, consacrandolo come una
delle figure di maggiore rappresentatività della destra reggina e calabrese.
Fu tra i testimoni dell’estinzione del vecchio Msi e della nascita di quella
nuova destra che voleva essere Alleanza nazionale. In quel partito Meduri venne
eletto senatore e dall’aula di Palazzo Madama si è battuto contro la
cosiddetta devolution, considerata gravemente penalizzante per il
Meridione. Malgrado la sua storia, il suo nome non ha poi trovato più spazio
nelle liste dei candidati. Oggi Meduri resta un osservatore disincantato
dell’universo della destra, capace di guardare con freddezza gli ultimi
riposizionamenti, come quello di Scopelliti che si accoda all’entusiasmo per la
rinascita di Forza Italia.
«Penso che Scopelliti avesse poca possibilità di scelta – spiega Renato Meduri
–. Egli resta sicuramente un uomo della destra sociale che era rappresentata
prima dal Msi e poi da An. Non ho alcun dubbio che Scopelliti sia sempre la
stessa persona e che rappresenti le stesse istanze sociali, ma altra cosa
è l’esigenza di collocarsi utilmente, col suo carisma e prestigio, all’interno
di una forza politica di centrodestra capace ancora di dettare i tempi della
politica. La sua mi sembra quasi una scelta obbligata dopo la diaspora dei
colonnelli di An, oggi degradati a maggiori o forse a capitani, spesso di
ventura. Scopelliti resta l’unico politico calabrese dotato di carisma e capace
di governare veramente. Per servire bene la Calabria deve agire più con la
ragione che con i sentimenti, senza mai, però, perdere di vista i valori che
gli sono stati insegnati da coloro che lo hanno preceduto e avviato nel suo
percorso politico. Più che le insegne oggi vale la sostanza e la capacità di
incidere nella realtà attuale. Secondo me non potrebbe continuare a governare
proficuamente la Calabria senza questo passaggio. In questo momento i calabresi
hanno bisogno disperato di essere governati seriamente».
La scelta berlusconiana di riesumare Forza Italia è stata una buona mossa? Avrà
successo in Calabria?
«Credo che al vecchio Pdl restasse ormai poco spazio. A mio avviso per essere
valido strumento dovuto contenere per intero tutti quelli che erano i partiti
della vecchia coalizione cioè Lega, An, Udc e Forza Italia. L’errore più grave
a mio avviso fu commesso da Fini che fu l’unico a sciogliere il proprio partito
dentro il Pdl, mentre Casini non lo fece e la Lega rimase arbitra unica e
condizionatrice della politica del centrodestra. Fini, sciolto il partito, non
contò quasi niente e per apparire fu costretto a scontri quotidiani con
Berlusconi. Ora Berlusconi rifonda Forza Italia per riprendere con lena una battaglia
di riforme che era nel programma nel 1994 ma che in effetti non era mai
veramente iniziato. In Calabria la mossa può avere effetti benefici solo se
nella nuova Forza Italia convergeranno con onestà coloro che hanno fatto a vari
livelli parte delle coalizioni di governo».
Lei ha incarnato la destra più antica, come vive questi cambiamenti? Le
sembrano solo una questione di nomi?
«La mia era una generazione forgiata dalle sofferenze della guerra e da un
dopoguerra che vedeva gli italiani profondamente divis tra di loro, anche per
il retaggio di una cruenta guerra civile e dalla presenza del più forte Partito
Comunista europeo e mondiale dopo quello russo. Il mio “Credo” era quasi
assoluto e i miei capi erano De Marsanich, Romualdi, Michelini, Tripodi e
ovviamente Almirante. Erano altri tempi, esisteva ancora la cultura degli
ideali sacri per i quali vivere e, se fosse stato il caso, anche morire. Era la
società post fascista ancora non del tutto cancellata, che si opponeva con
forza all'avvento che sembrava sempre molto prossimo di un comunismo di tipo
sovietico. Anche i comunisti a quei tempi erano grandi "credenti" e
anche loro, come noi, pronti a morire per i loro ideali. Per me vivere la
politica è una grande sofferenza, ma capisco che bisogna sapersi adeguare ai
tempi. Le forme cambiano, ma i valori restano. La storia della destra italiana,
se letta bene, viene scritta in primis da un socialista che per fare
grandi riforme sociali dovette diventare fascista, dal figlio di un fabbro
anarchico che per amore dell'Italia salutò il Re Imperatore, da un ex
"mangiapreti" che firmò nel 1929 i Patti Lateranensi. È una questione
di forma ma pure di sostanza se con la forma cambiano anche i valori che si
vogliono servire. Quando si è giovani, se si è ben fermi negli ideali, in
qualche modo può essere accettata anche una forma diversa».
Qual è stato lo stato d’animo di chi, provenendo da quella destra, ha visto
nascere il Pdl?
«Questa domanda non può essere posta a me, perché io non ho mai varcato la
porta del Pdl. Con l’avvento del “Porcellum” Fini ha ritrovato comodo liberarsi
di me che ero diventato scomodo e discolo. Votavo spesso in dissenso col
gruppo, presi a schiaffi un ministro leghista. Stavo portando avanti leggi
contro le sette che erano molto scomode ai potenti in qualche modo legati anche
a Scientology. Fini mi chiamò alla Farnesina e mi comunicò che non mi
avrebbe ricandidato. "Non essendoci più i collegi dove il partito aveva
assoluto bisogno del tuo consenso, preferisco tutelare il San Valentino",
mi disse e così chiuse la partita con me e io con lui, senza troppa sofferenza
spirituale, anche perché Fini pronunciava abiure ed enunciava nuovi valori che
per me erano disvalori. Presi atto di tutto questo e decisi di autosospendermi
dal partito di An che quotidianamente abiurava, per bocca del suo capo, ai
valori fondanti e per difendere i quali tanti giovani ci avevano lasciato la
pelle. Io dunque non sono stato “sciolto” dentro il Pdl e non so cosa abbiano
provato coloro che furono costretti al salto della quaglia assieme a
Fini».
A livello nazionale pare che Alemanno sia impegnato nella costruzione di un
partito in grado di raccogliere l’eredità della vecchia An. Crede che in
Calabria un tentativo del genere possa trovare attenzioni?
«Sinceramente credo di no. Alemanno è tra coloro che trovarono comodo accodarsi
a Fini nello sciogliersi dentro il Pdl. Ognuno di quei colonnelli, a
salvaguardia di posti di potere, rinunciò ai vecchi ideali. Mussolini e il
Fascismo furono individuati da Fini e dai suoi "servitorelli" come i
mali assoluti. Direi che Alemanno è stato il peggiore di tutti e alcuni dei
suoi uomini, addirittura, furono mandati a far compagnia e dar forza a Fini nel
Fli. Tra gli ex "colonnelli", in verità, solo Storace non seguì Fini
nel Pdl.
Alemanno quindi non ha alcun titolo per proclamarsi ricostruttore di An. Lui è
responsabile dello scioglimento di An nell’acido del Pdl, lui è responsabile
della candidatura in An di un suo uomo, Franco Morelli. La verità è che ormai
nessuno di questi “ducetti” vuole arrendersi all'evidenza della propria fine
politica e cerca disperatamente di raggiungere a qualunque costo uno scranno
parlamentare. Molti di loro mi fanno pena; Alemanno più di tutti. In Calabria
questi tentativi sono destinati al fallimento, anche se ci sono molti ragazzi
che vorrebbero rialzare una bandiera che altri, tra cui Alemanno, hanno buttato
nel fango. No, penso proprio che non sia questo il momento idoneo per pensare a
ricostruire ciò che Fini e i suoi "colonnelli" hanno distrutto. Forse
un giorno la storia inventerà anche per noi un capo vero e quello sarà il
momento. Ma questi "ducetti in sedicesima" mi fanno solamente pena».
La destra ha sempre fatto vanto di una purezza e di un rigore molto severi.
Crede che nella destra italiana, ma pure calabrese, ci sia una questione morale
da affrontare?
«Sì, credo che esita una questione morale, anche nella destra, sia pure in
misura minore. Vanno rispolverati e attualizzati i vecchi valori, quelli che ci
hanno dato i nostri padri fondatori e coloro che in Calabria ci hanno avviati
sulla strada della buona politica. Parlo di Almirante che chiedeva la pena di
morte per i terroristi rossi e due volte la fucilazione per quelli neri.
Ricordo a Reggio il San Michele Barbaro, morto sugli scranni del consiglio
comunale e Nino Tripodi che rappresentava con la sua stessa vita
l'intransigenza ideale. Sono tantissimi che ancora riescono a concepire e
vivere la politica come servizio. D’altro canto quelli che hanno debordato in
Calabria erano nuovi arrivati e non facevano parte della nostra storia
politica. E sono stati, in molti casi, troppo frettolosamente accettati magari
perché raccomandati da qualche colonnello oggi aspirante rifondatore».
Qual è lo stato di salute della destra calabrese?
«Governare la Calabria comporta difficoltà che possono sembrare insormontabili.
È difficile convivere con una burocrazia inefficiente e spesso collusa con la
mafia. Ma i risultati che in qualche modo Scopelliti con la sua squadra di
governo ha raggiunto, pur se non inebrianti, sono il segno di una vitalità
molto incoraggiante. Certo si può e si deve fare meglio, bisogna impegnarsi
sempre di più, occorre costringere i burocrati a dare di più e di meglio, ma se
ci volgiamo indietro con lo sguardo e con l'analisi ci accorgiamo che rispetto
ai passati governi, anche a quelli che passavano per essere di destra senza
esserlo nei fatti e nello spirito oggi si registrano sensibili passi in avanti.
Ma secondo me la destra è viva e può dare molto alla Calabria e a Reggio. Basta
saperla interpretare bene a prescindere dalle etichette formali».
Ma l’attuale governatore non è responsabile per la situazione in cui è piombata
la città dello Stretto?
«Qualche responsabilità Scopelliti ce l’ha ma non così gravi da determinare il
commissariamento del Comune». (0050)
Di quella rivolta fu uno dei protagonisti e abbandonò gli scranni dell’assemblea cittadina come segno di protesta quando il ruolo di città capoluogo fu assegnato a Catanzaro. La sua militanza gli aprì le porte a importanti riconoscimenti all’interno del partito e presto fu eletto consigliere regionale. La sua carriera politica conobbe un salto di qualità all’indomani della morte di Ciccio Franco, di cui in qualche maniera era indicato come l’erede ideologico. Infatti aumentò e si sedimentò, consacrandolo come una delle figure di maggiore rappresentatività della destra reggina e calabrese.
Fu tra i testimoni dell’estinzione del vecchio Msi e della nascita di quella nuova destra che voleva essere Alleanza nazionale. In quel partito Meduri venne eletto senatore e dall’aula di Palazzo Madama si è battuto contro la cosiddetta devolution, considerata gravemente penalizzante per il Meridione. Malgrado la sua storia, il suo nome non ha poi trovato più spazio nelle liste dei candidati. Oggi Meduri resta un osservatore disincantato dell’universo della destra, capace di guardare con freddezza gli ultimi riposizionamenti, come quello di Scopelliti che si accoda all’entusiasmo per la rinascita di Forza Italia.
«Penso che Scopelliti avesse poca possibilità di scelta – spiega Renato Meduri –. Egli resta sicuramente un uomo della destra sociale che era rappresentata prima dal Msi e poi da An. Non ho alcun dubbio che Scopelliti sia sempre la stessa persona e che rappresenti le stesse istanze sociali, ma altra cosa è l’esigenza di collocarsi utilmente, col suo carisma e prestigio, all’interno di una forza politica di centrodestra capace ancora di dettare i tempi della politica. La sua mi sembra quasi una scelta obbligata dopo la diaspora dei colonnelli di An, oggi degradati a maggiori o forse a capitani, spesso di ventura. Scopelliti resta l’unico politico calabrese dotato di carisma e capace di governare veramente. Per servire bene la Calabria deve agire più con la ragione che con i sentimenti, senza mai, però, perdere di vista i valori che gli sono stati insegnati da coloro che lo hanno preceduto e avviato nel suo percorso politico. Più che le insegne oggi vale la sostanza e la capacità di incidere nella realtà attuale. Secondo me non potrebbe continuare a governare proficuamente la Calabria senza questo passaggio. In questo momento i calabresi hanno bisogno disperato di essere governati seriamente».
La scelta berlusconiana di riesumare Forza Italia è stata una buona mossa? Avrà successo in Calabria?
«Credo che al vecchio Pdl restasse ormai poco spazio. A mio avviso per essere valido strumento dovuto contenere per intero tutti quelli che erano i partiti della vecchia coalizione cioè Lega, An, Udc e Forza Italia. L’errore più grave a mio avviso fu commesso da Fini che fu l’unico a sciogliere il proprio partito dentro il Pdl, mentre Casini non lo fece e la Lega rimase arbitra unica e condizionatrice della politica del centrodestra. Fini, sciolto il partito, non contò quasi niente e per apparire fu costretto a scontri quotidiani con Berlusconi. Ora Berlusconi rifonda Forza Italia per riprendere con lena una battaglia di riforme che era nel programma nel 1994 ma che in effetti non era mai veramente iniziato. In Calabria la mossa può avere effetti benefici solo se nella nuova Forza Italia convergeranno con onestà coloro che hanno fatto a vari livelli parte delle coalizioni di governo».
Lei ha incarnato la destra più antica, come vive questi cambiamenti? Le sembrano solo una questione di nomi?
«La mia era una generazione forgiata dalle sofferenze della guerra e da un dopoguerra che vedeva gli italiani profondamente divis tra di loro, anche per il retaggio di una cruenta guerra civile e dalla presenza del più forte Partito Comunista europeo e mondiale dopo quello russo. Il mio “Credo” era quasi assoluto e i miei capi erano De Marsanich, Romualdi, Michelini, Tripodi e ovviamente Almirante. Erano altri tempi, esisteva ancora la cultura degli ideali sacri per i quali vivere e, se fosse stato il caso, anche morire. Era la società post fascista ancora non del tutto cancellata, che si opponeva con forza all'avvento che sembrava sempre molto prossimo di un comunismo di tipo sovietico. Anche i comunisti a quei tempi erano grandi "credenti" e anche loro, come noi, pronti a morire per i loro ideali. Per me vivere la politica è una grande sofferenza, ma capisco che bisogna sapersi adeguare ai tempi. Le forme cambiano, ma i valori restano. La storia della destra italiana, se letta bene, viene scritta in primis da un socialista che per fare grandi riforme sociali dovette diventare fascista, dal figlio di un fabbro anarchico che per amore dell'Italia salutò il Re Imperatore, da un ex "mangiapreti" che firmò nel 1929 i Patti Lateranensi. È una questione di forma ma pure di sostanza se con la forma cambiano anche i valori che si vogliono servire. Quando si è giovani, se si è ben fermi negli ideali, in qualche modo può essere accettata anche una forma diversa».
Qual è stato lo stato d’animo di chi, provenendo da quella destra, ha visto nascere il Pdl?
«Questa domanda non può essere posta a me, perché io non ho mai varcato la porta del Pdl. Con l’avvento del “Porcellum” Fini ha ritrovato comodo liberarsi di me che ero diventato scomodo e discolo. Votavo spesso in dissenso col gruppo, presi a schiaffi un ministro leghista. Stavo portando avanti leggi contro le sette che erano molto scomode ai potenti in qualche modo legati anche a Scientology. Fini mi chiamò alla Farnesina e mi comunicò che non mi avrebbe ricandidato. "Non essendoci più i collegi dove il partito aveva assoluto bisogno del tuo consenso, preferisco tutelare il San Valentino", mi disse e così chiuse la partita con me e io con lui, senza troppa sofferenza spirituale, anche perché Fini pronunciava abiure ed enunciava nuovi valori che per me erano disvalori. Presi atto di tutto questo e decisi di autosospendermi dal partito di An che quotidianamente abiurava, per bocca del suo capo, ai valori fondanti e per difendere i quali tanti giovani ci avevano lasciato la pelle. Io dunque non sono stato “sciolto” dentro il Pdl e non so cosa abbiano provato coloro che furono costretti al salto della quaglia assieme a Fini».
A livello nazionale pare che Alemanno sia impegnato nella costruzione di un partito in grado di raccogliere l’eredità della vecchia An. Crede che in Calabria un tentativo del genere possa trovare attenzioni?
«Sinceramente credo di no. Alemanno è tra coloro che trovarono comodo accodarsi a Fini nello sciogliersi dentro il Pdl. Ognuno di quei colonnelli, a salvaguardia di posti di potere, rinunciò ai vecchi ideali. Mussolini e il Fascismo furono individuati da Fini e dai suoi "servitorelli" come i mali assoluti. Direi che Alemanno è stato il peggiore di tutti e alcuni dei suoi uomini, addirittura, furono mandati a far compagnia e dar forza a Fini nel Fli. Tra gli ex "colonnelli", in verità, solo Storace non seguì Fini nel Pdl.
Alemanno quindi non ha alcun titolo per proclamarsi ricostruttore di An. Lui è responsabile dello scioglimento di An nell’acido del Pdl, lui è responsabile della candidatura in An di un suo uomo, Franco Morelli. La verità è che ormai nessuno di questi “ducetti” vuole arrendersi all'evidenza della propria fine politica e cerca disperatamente di raggiungere a qualunque costo uno scranno parlamentare. Molti di loro mi fanno pena; Alemanno più di tutti. In Calabria questi tentativi sono destinati al fallimento, anche se ci sono molti ragazzi che vorrebbero rialzare una bandiera che altri, tra cui Alemanno, hanno buttato nel fango. No, penso proprio che non sia questo il momento idoneo per pensare a ricostruire ciò che Fini e i suoi "colonnelli" hanno distrutto. Forse un giorno la storia inventerà anche per noi un capo vero e quello sarà il momento. Ma questi "ducetti in sedicesima" mi fanno solamente pena».
La destra ha sempre fatto vanto di una purezza e di un rigore molto severi. Crede che nella destra italiana, ma pure calabrese, ci sia una questione morale da affrontare?
«Sì, credo che esita una questione morale, anche nella destra, sia pure in misura minore. Vanno rispolverati e attualizzati i vecchi valori, quelli che ci hanno dato i nostri padri fondatori e coloro che in Calabria ci hanno avviati sulla strada della buona politica. Parlo di Almirante che chiedeva la pena di morte per i terroristi rossi e due volte la fucilazione per quelli neri. Ricordo a Reggio il San Michele Barbaro, morto sugli scranni del consiglio comunale e Nino Tripodi che rappresentava con la sua stessa vita l'intransigenza ideale. Sono tantissimi che ancora riescono a concepire e vivere la politica come servizio. D’altro canto quelli che hanno debordato in Calabria erano nuovi arrivati e non facevano parte della nostra storia politica. E sono stati, in molti casi, troppo frettolosamente accettati magari perché raccomandati da qualche colonnello oggi aspirante rifondatore».
Qual è lo stato di salute della destra calabrese?
«Governare la Calabria comporta difficoltà che possono sembrare insormontabili. È difficile convivere con una burocrazia inefficiente e spesso collusa con la mafia. Ma i risultati che in qualche modo Scopelliti con la sua squadra di governo ha raggiunto, pur se non inebrianti, sono il segno di una vitalità molto incoraggiante. Certo si può e si deve fare meglio, bisogna impegnarsi sempre di più, occorre costringere i burocrati a dare di più e di meglio, ma se ci volgiamo indietro con lo sguardo e con l'analisi ci accorgiamo che rispetto ai passati governi, anche a quelli che passavano per essere di destra senza esserlo nei fatti e nello spirito oggi si registrano sensibili passi in avanti. Ma secondo me la destra è viva e può dare molto alla Calabria e a Reggio. Basta saperla interpretare bene a prescindere dalle etichette formali».
Ma l’attuale governatore non è responsabile per la situazione in cui è piombata la città dello Stretto?
«Qualche responsabilità Scopelliti ce l’ha ma non così gravi da determinare il commissariamento del Comune». (0050)
Michele Giacomantonio - CORRIERE DELLA CALABRIA