MERCOLEDI', 4 dicembre 2013-
ROMA – Potrebbe essere una svolta storica nella storia della medicina. Gli scienziati italiani hanno dimostrato che un vaccino per la tubercolosi può prevenire lo sviluppo della sclerosi multipla in soggetti che hanno avuto un primo episodio di malattia. In una sperimentazione clinica su 73 pazienti, infatti, il gruppo di Giovanni Ristori dell’Università La Sapienza di Roma ha dimostrato che una sola dose di vaccino arresta sul nascere la malattia in una cospicua percentuale di soggetti vaccinati. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Neurology, sono promettenti: un giorno, spiega Ristori all’Ansa, il vaccino anti-tubercolosi potrebbe essere somministrato non solo a soggetti che hanno avuto il primo episodio clinico della sclerosi, ma anche in persone a rischio.
La sclerosi multipla è una malattia autoimmune: il sistema immunitario, come impazzito, attacca i nervi danneggiandone la guaina isolante che permette la trasmissione del segnale nervoso, la guaina mielinica. Dopo il primo attacco, che in genere è palesato da sintomi clinici (problemi agli arti ad esempio), la malattia progredisce e peggiora. Oggi esistono dei farmaci immunomodulatori come l’interferone che tengono a bada il sistema immunitario rallentando il decorso. Ma non esiste ad oggi una cura che arresti del tutto la malattia sul nascere. Gli esperti sapevano da osservazioni sperimentali che l’adiuvante di Freund, un componente del vaccino della tubercolosi di tipo Bacille Calmette-Guèri, è protettivo contro le malattie autoimmuni. Così in un primo studio pilota su un piccolo gruppo di soggetti già ammalati, spiega Ristori all’Ansa, «abbiamo visto che il vaccino riduce l’attività di malattia osservabile alla risonanza magnetica. Abbiamo osservato i pazienti – spiega Ristori – per due anni e mezzo e visto che l’effetto protettivo del vaccino durava a lungo; nel lungo termine vedevamo meno lesioni – i cosiddetti buchi neri».
Così gli esperti hanno arruolato 73 soggetti in fase ancora più iniziale di malattia, persone che avevano avuto un primo episodio ma ancora non malate. A 33 di loro hanno somministrato una dose di vaccino, agli altri placebo. Tutti erano in cura con l’interferone. I soggetti sono stati seguiti mensilmente con la risonanza magnetica per vedere l’attività di malattia (anche in assenza di segni clinici); e sono stati monitorati per circa 5 anni. È emerso che a 5 anni dall’inizio dello studio il 58% dei vaccinati non si è ammalato contro solo il 30% dei non vaccinati. «Il vaccino è in grado di regolare il sistema immunitario – spiega Ristori. Questo si connette anche alla teoria dell’igiene che dice che l’esposizione ai microbi (ma non l’infezione) è protettiva e istruisce il sistema immunitario a distinguere gli aggressori dagli ‘amicì. Non a caso – continua l’esperto – nelle decadi più recenti l’uso di antibiotici e detergenti cutanei, nonchè cambiamenti nelle abitudini alimentari e nei comportamenti all’aperto possono aver facilitato l’aumento di incidenza di malattie autoimmuni ed allergie». Il vaccino, spiega ancora Ristori, sembra anche indurre la produzione da parte dell’organismo di fattori neuroprotettivi con il Tnf; cosa confermata anche in studi su altre malattie autoimmuni come il diabete di tipo uno. «Questo studio è promettente – conclude – ma prima di arrivare a un uso clinico del vaccino è necessario ripetere i risultati su un maggior numero di pazienti e per farlo servono almeno altri 4-5 anni»
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