mercoledì 30 marzo 2011

Acque nere




Acque nere
Dossier sulla mala depurazione in Calabria
Catanzaro, 29 marzo 2011

Premessa

1. La depurazione in Calabria
Il sistema degli Ato L’efficienza del sistema fognario e di depurazione La violazione della direttiva UE 1998 – 2008: dieci anni di commissariamento

2. Scarichi illegali e impianti fuorilegge
Il “Giro di Calabria”

3. La grande truffa della depurazione calabrese
Poseidone L’attività delle Procure di Paola e Vibo Valentia Gli interessi della ‘Ndrangheta Il Caso Fallara

Sos fiumi. Le denunce di Goletta verde

Le proposte di Legambiente

Appendice normativa

“Acque nere. Dossier sulla mala depurazione in Calabria” di Legambiente è a cura dell’Osservatorio nazionale ambiente e legalità, dell’Ufficio scientifico nazionale e dei circoli della Calabria.

Fonti principali: Ansa, Adn kronos, Arpacal, Conviri, Capitanerie di porto, Ispra, Cea Calabria, Ministero dell’Ambiente, Il quotidiano di Calabria, Calabria ora, Il crotonese, La gazzetta del sud, Strill.it

Premessa

Un mare violato e avvelenato. Dagli scarichi illegali delle case abusive, dalle acque reflue delle città e dei paesi dove la costruzione dei depuratori, quando è avvenuta, è stata quasi sempre l’occasione per arricchire piccoli e grandi truffatori, amministratori corrotti e criminalità organizzata; dalle acque nere degli auto spurgo; dagli allacci illeciti e incontrollati delle aziende (oleifici e altri impianti per la trasformazione agroalimentare, ma anche industrie chimiche). Da quelli dei villaggi che si sono sviluppati lungo la costa e da interi abitati che spesso non hanno un solo metro di rete fognaria, come Lattughelle nel territorio del comune di Cassano allo Ionio, e nella stagione estiva riversano in acqua i loro scarichi come in un enorme pozzo nero. E' l'altra faccia del mare di Calabria, amato e affollato dai turisti che, loro malgrado, vestono al contempo i panni di vittime e carnefici nel degradante spettacolo della mala depurazione. Ogni volta che arriva l’estate, si ripropone lo stesso copione dell’anno precedente, con i problemi legati al trattamento delle acque che, dimenticati per alcuni mesi, tornano fatalmente a galla. Mare marrone, miasmi insopportabili, fiumi trasformati in fogne a cielo aperto: il sistema collassa, abitanti e villeggianti protestano, scattano i controlli e i sequestri. Nel 2010, tra gli altri, vengono sequestrati i depuratori di Platania, di Maierato, di San Nicolò di Ricadi, di Nocera Terinese. A luglio è la volta del famigerato impianto nella zona industriale di Lamezia Terme, noto come ex-Sir, mentre a fine anno, la Procura di Vibo Valentia dispone il sequestro di ben 7 impianti della provincia in un solo colpo: a Rombiolo, Vallelonga, Jonadi, Filogaso, Sant’Onofrio, Pizzoni e Limbadi. Ma il 2011 rischia di battere ogni record: a febbraio arriva un un nuovo elenco di provvedimenti: la Procura della Repubblica di Lamezia Terme ordina i sigilli per ben 16 impianti in undici comuni della provincia di Catanzaro. Quasi sempre il provvedimento del magistrato è accompagnato da una sorta di moratoria. I sigilli vengono differiti di alcuni mesi, invitando nel frattempo i gestori a provvedere agli interventi necessari. Perché in fondo è sempre meglio un impianto che depura male che un impianto fermo, specialmente nel bel mezzo della stagione balneare. La Regione Calabria è stata commissariata dal 1998 al 2008 per l'emergenza ambientale: sotto controllo, insieme al ciclo dei rifiuti, è finito il settore della tutela delle acque. L'ufficio del Commissario delegato (oggi ancora in attività per concludere alcuni iter amministrativi, ndr) doveva censire tutta la rete fognaria e gli impianti della regione, verificando i problemi strutturali e quelli gestionali per definire gli interventi necessari a sanare rapidamente le criticità del sistema. A oggi però la gran parte di questi obiettivi non sono stati raggiunti e la situazione si è aggravata per i ritardi nella costituzione delle strutture operative dei cinque Ato (Ambiti territoriali ottimali) della regione e nell'affidamento della gestione del servizio idrico integrato. L’ufficio antifrode della Commissione europea nel 2010 ha verificato una tale serie di irregolarità da suggerire addirittura la revoca dei finanziamenti già erogati. Nel giugno del 2009 l'Unione europea ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia per deficit depurativo: nella lista dei Comuni inadempienti ben 22 sono calabresi. Infine ci sono le vicende giudiziarie che hanno segnato questo fronte da almeno sei anni a questa parte. L’inchiesta regina è quella ribattezzata Poseidone. Avviata nel 2005 in piena gestione commissariale dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, lo scorso anno ha portato al rinvio a giudizio di 39 persone, indagate a vario titolo per illeciti nella gestione della depurazione calabrese al centro di una maxi truffa da 900 milioni di euro. Ma c’è anche il lavoro della Procura di Paola, che ha deciso di mettere un freno all'inquinamento del mare cosentino battendo palmo a palmo il territorio alla ricerca di impianti irregolari, e quello dei magistrati della Procura di Vibo Valentia. E’ questo dunque lo scenario in cui ogni estate fa rotta Goletta Verde, la barca di Legambiente che da oltre vent’anni denuncia i problemi del mare e della costa del nostro Paese. Cercando di portare alla ribalta le criticità dei tratti più vulnerabili del litorale calabrese e al contempo formulando proposte per i casi mai risolti, quelli che, quando il sistema di depurazione non regge lo sforzo sotto la spinta di centinaia di migliaia di turisti, tornano tristemente alla ribalta delle cronache. Seppure di rado, arriva anche qualche buona notizia, un impianto messo a posto che finalmente depura, qualche sindaco di buona volontà che prova a mettere una toppa quando può o che non smette di denunciare a viva voce quello che non può risolvere. Ma si tratta di casi troppo isolati per fare intravedere una inversione di marcia. La situazione che descriviamo in queste pagine è tutt’altro che incoraggiante. In tutta la regione ci sono, tra grandi, medi e piccoli, circa 700 depuratori e, di questi, troppi funzionano poco e male oppure non funzionano del tutto. Molti sono stati oggetto di ripetute segnalazioni, piuttosto che di sequestri da parte della magistratura. Ma sono ancora lì, con gli stessi guasti e senza manutenzione, nello stesso stato precario da anni, producendo gli stessi danni all’ecosistema fluviale e marino. Insomma, dopo 10 anni di gestione commissariale e di soldi spesi male, l'emergenza non è affatto superata. Occorre mettere mano a un serio piano di riqualificazione dell'intero sistema idrico, gestito da tecnici competenti e amministratori onesti che sia impermeabile alle speculazioni, agli imbrogli e alle infiltrazioni alla ‘ndrangheta che fino a oggi hanno tenuto sotto scacco il magnifico mare della Calabria. Legambiente ha deciso di scrivere questo dossier per riportare il problema della mala depurazione al centro dell’attenzione. E ha deciso di farlo “fuori stagione”, per mettere in luce le criticità, identificare le responsabilità e denunciare omissioni e promesse disattese senza aspettare che si arrivi alla solita ben nota emergenza estiva. Auspicando che i sindaci calabresi abbiano il coraggio di raccogliere la sfida, di prendere il timone e diventare i protagonisti della rinascita del loro mare.

1. La depurazione in Calabria

Il sistema degli Ato

Nel nostro Paese, allo scopo di riorganizzare l’intero sistema nazionale delle acque, con la legge 36 del 1994 (cosiddetta legge Galli: Disposizioni in materia di risorse idriche) si è prevista l’istituzione degli Ato, Ambiti territoriali ottimali a cui delegare la gestione omogenea del servizio idrico integrato su scala territoriale. Una misura teoricamente molto utile per gestire il sistema in modo più razionale ed efficiente, ma che purtroppo non sempre ha dato i risultati attesi. In molti casi la sostituzione del sistema degli Ato al regime della gestione da parte degli enti locali è stata così lenta che i ritardi nel sistema di programmazione hanno dato origine a vuoti di gestione con gravi conseguenze anche sulla qualità del servizio. In Calabria l’applicazione della Legge Galli ha portato alla legge regionale n.10 del 1997, che definisce 5 Ato in corrispondenza delle 5 provincie. L’effettiva istituzione dei nuovi enti è avvenuta tra il dicembre del 1997 e il maggio del 1999, ma solo tre Ato hanno affidato l’appalto, mentre Catanzaro e Vibo Valentia risultano, secondo i dati pubblicati dal Conviri (Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche) nel 2010, tra i 23 Ato che in tutta Italia non hanno ancora provveduto ad assegnare la gestione del servizio. L’Ato1, quello di Cosenza, con 155 comuni è il più grande per superficie e per popolazione servita (anche se l’80% dei comuni non supera i 5 mila abitanti), mentre l’Ato3, che coincide con la provincia di Crotone, è il più piccolo servendo solo 27 comuni. La distribuzione demografica nel territorio dei 5 Ato è molto disomogenea. In particolare nel corso dei decenni si è verificato un progressivo spopolamento delle aree montane dell’entroterra e un incremento variabile degli abitanti sulle fasce costiere. In generale, il territorio calabrese vive una costante decrescita della popolazione residente: tra il 1991 e il 2001, secondo l’Istat, la diminuzione è stata pari al 2,8%. Allo stato attuale, l’abolizione del sistema degli Ato voluta dal governo è stata rimandata con il decreto Milleproroghe. Ma la Regione Calabria ne ha comunque previsto la cancellazione a partire dal 1 luglio 2011 con l’articolo 47 della legge di bilancio (LR n.34 del 29 dicembre 2010). Da quella data il sistema idrico integrato calabrese sarà gestito da un’unica autorità d’ambito regionale che sostituirà i 5 Ato provinciali. Nel frattempo vengono sospese tutte le procedure già in corso per l’affidamento del servizio, le Provincie subentrano nella gestione ordinaria e, con l’ausilio di un commissario liquidatore, provvedono a una analisi della situazione finanziaria dell’Ente o Autorità d’Ambito. L’intenzione è di dare in affidamento l’intero sistema del Servizio idrico integrato (anche la depurazione quindi) alla Sorical, la società pubblico-privata che si occupa attualmente degli acquedotti calabresi, proprietà al 53,5% della Regione Calabria e al 46,5% di Veolià-General des eaux, il colosso francese dei servizi.

Distribuzione ed estensione degli Ato calabresi

Provincia Data insediamento N° Comuni Superficie (km2) Popolazione Abitanti/km2
Ato 1 Cosenza 27.12.1997 155 6.650 727.267 109,4
Ato 2 Catanzaro 15.06.1999 80 2.390 378.780 158,5
Ato 3 Crotone 11.02.1998 27 1.718 163.058 94,9
Ato 4 Vibo Valentia 16.12.1999 50 1.139 175.487 154,1
Ato 5 Reggio Calabria 27.05.1999 97 3.183 570.065 179,1
Totale 409 15.080 2.014.657 133,6

Fonte: ARPACal, Rapporto sullo stato dell’ambiente 2007

L’efficienza del sistema fognario e di depurazione

Il lungo commissariamento, le inchieste che si sono susseguite negli ultimi anni e le continue segnalazioni di malfunzionamenti o di tratti di mare inquinati dai reflui provenienti dagli scarichi civili, fanno emergere un quadro piuttosto critico del territorio calabrese sia per quanto riguarda le infrastrutture fognarie sia per la copertura depurativa. Un quadro che si aggrava notevolmente se si considera l’aumento sostanziale della popolazione nel periodo estivo che a livello regionale arriva a contare il triplo delle presenze rispetto al resto dell’anno, incremento a cui spesso però non corrisponde un’adeguata dimensione degli impianti. Ma a denunciare le carenze del sistema di depurazione in Calabria sono anche gli atti ufficiali, come dimostrano i dati, non molto recenti purtroppo, riportati nel Rapporto dello stato ambientale del 2007 dell’ArpaCal. L’efficienza dei sistemi di depurazione in media è del 73% (abitanti equivalenti serviti). Il che significa che oltre 540 mila cittadini calabresi riversano direttamente nei fiumi e nel mare i loro reflui senza alcun sistema di trattamento degli scarichi.

Copertura del servizio di fognatura e depurazione

Denominazione Ato Popolazione residente servita dal servizio di fognatura Popolazione residente servita dal servizio di depurazione
Ato 1 - Cosenza 84,8% 78%
Ato 2 - Catanzaro 91% 81%
Ato 3 - Crotone 90% n.d.
Ato 4 - Vibo Valentia 97% 75%
Ato 5 - Reggio Calabria 92% 70%

Fonte: ATO, e ARPACal, Rapporto sullo stato dell’ambiente 2007 (dati 2004)

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Per quanto riguarda la rete fognaria invece, la copertura è certamente migliore rispetto al servizio di depurazione, come si vede dai dati relativi ai singoli Ato, ma si tratta per la gran parte di una rete di tipo misto. Una fognatura che, in caso di eventi meteorici abbondanti o persistenti, non permette di selezionare le acque piovane, cioè quelle chiare, da quelle proveniente dagli scarichi, quelle nere, con il forte rischio di riversare tutto il carico organico e batterico direttamente nelle acque superficiali.

Lunghezza dei diversi tipi di rete rispetto al totale

Denominazione Ato Rete Bianca % Rete Nera % Rete Mista %
Ato1 Cosenza 1 24 75
Ato2 Catanzaro 7 56 37
Ato3 Crotone 11 32 58
Ato4 Vibo Valentia 5 36 59
Ato5 Reggio Calabria 7 32 61

Fonte: Rapporto Stato Ambientale 2007 - Regione Calabria e Arpacal, (dati 2002)

Nonostante percentuali di copertura in linea con la media italiana, se si entra nel dettaglio dell’analisi, verificando la tipologia delle infrastrutture presenti, si scopre il forte gap rispetto alle regioni con sistemi più efficienti. La tabella che segue è dunque quella che meglio ci illustra la reale situazione della depurazione calabrese, mettendo in luce un deficit da primato italiano. Solo il 37,4 % dei calabresi è servito da un sistema di depurazione secondario o terziario. E quest’ultimo è l’unico che garantisce il processo completo di depurazione. Per oltre il 62% dei cittadini non c’è depurazione o gli impianti esistenti sono di tipo primario, ossia un sistema di grigliatura e di vagliatura fisica utile per trattenere dal refluo solo i corpi grossolani. Il risultato è che al mare arrivano scarichi senza alcun trattamento biologico o chimico, che sarebbe garantito dalla fase secondaria e terziaria.

Copertura degli impianti di depurazione con trattamento secondario e terziario

Regione % di abitanti equivalenti serviti
Piemonte 73,4
Valle d’Aosta 76,8
Lombardia 65,8
Trentino Alto Adige 78,2
Veneto 71,3
Friuli Venezia Giulia 64,2
Liguria 37,4
Emilia-Romagna 66,8
Toscana 82,8
Umbria 68,4
Marche 45,2
Lazio 63,2
Abruzzo 44,3
Molise 88,4
Campania 75,8
Puglia 61,2
Basilicata 66,7
Calabria 37,4
Sicilia 33,1
Sardegna 80,5
Centro Nord 67,2
Mezzogiorno 56,6
Italia 63,5

Fonte: Piano d’Azione Regione Calabria (Programmazione regionale unitaria 2007-2013)

La violazione della direttiva UE

La Commissione europea nel 2009 deferisce l’Italia e la Spagna alla Corte di giustizia dell’Unione europea per la violazione della normativa 1991/271/CE sul trattamento delle acque reflue urbane, in base alla quale entro il 31 dicembre 2000 i due paesi avrebbero dovuto predisporre sistemi adeguati per il convogliamento e il trattamento delle acque nei centri urbani con oltre 15 mila abitanti. Nonostante i due avvertimenti già inviati nel 2004 e nel 2009, dall’Italia non arrivano risposte convincenti e soprattutto non si è provvede per tempo a rendere conformi gli impianti nei comuni fuorilegge. Così arriva prima la messa in mora e, a maggio del 2010, il deferimento alla Corte di giustizia: 178 città italiane non si sono ancora conformate alla direttiva. le acque reflue urbane non trattate costituiscono sia un pericolo per la sanità pubblica che la principale causa di inquinamento delle acque costiere e interne da virus e batteri. Tra l’altro contengono nutrienti come l’azoto e il fosforo che possono danneggiare le acque dolci e l’ambiente marino, favorendo la crescita eccessiva di alghe che soffocano le altre forme di vita, processo conosciuto come eutrofizzazione. Nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 29 gennaio 2011 vengono pubblicate le conclusioni del ricorso presentato il 2 dicembre 2010 dalla Commissione europea (parte ricorrente) contro la Repubblica Italiana (parte convenuta) in materia di depurazione delle acque. Il documento elenca tutti i comuni italiani in procedura di infrazione per inadempimento nell’attuazione della direttiva 1991/271/CE e/o parti di essa. Tra le regioni più coinvolte c’è la Calabria con 22 comuni. Le inadempienze sono di diverso tipo, ma spesso riguardano lo stesso comune. Si contesta per 22 comuni la mancanza di un adeguato sistema di fognatura, per 13 la mancanza di un sistema di depurazione conforme alla direttiva, cioè almeno un trattamento di tipo secondario, e per 12, soprattutto lungo la costa, il sottodimensionamento degli impianti rispetto alle forti variazioni stagionali di presenze. In tutti e tre i gruppi rientrano anche due capoluoghi di provincia, Crotone e Reggio Calabria.

Numero comuni coinvolti nell’infrazione Comuni inadempienti Motivo dell’inadempienza
22 Acri, Siderno, Bagnara Calabra, Bianco, Cassano allo Ionio, Castrovillari, Crotone, Santa Maria del Cedro, Gioia Tauro, Lamezia Terme, Melito di Porto Salvo, Mesoraca, Montebello Ionico, Montepaone, Motta San Giovanni, Reggio Calabria, Rende, Rossano, Scalea, Sellia Marina, Soverato, Strongoli Omissione delle disposizioni necessarie per garantire agli agglomerati (con un numero di abitanti equivalenti superiore a 15.000) che scaricano in aree non sensibili, la dotazione di reti fognarie ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, della Direttiva 91/271/CE
13 Acri, Siderno, Bagnara Calabra, Bianco, Cassano allo Ionio, Castrovillari, Crotone, Melito di Porto Salvo, Montebello Ionico, Montepaone, Motta San Giovanni, Reggio Calabria, Rossano Omissione delle disposizioni necessarie per garantire negli agglomerati (con un numero di abitanti equivalenti superiore a 15.000) che scaricano in aree non sensibili, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie, siano sottoposti ad un trattamento conforme a quanto previsto dall’art. 4 ovvero ad un trattamento secondario prima dello scarico in ambiente.
12 Acri, Siderno, Bagnara Calabra, Cassano allo Ionio, Castrovillari, Crotone, Melito di Porto Salvo, Montebello Ionico, Montepaone, Motta San Giovanni, Reggio Calabria, Rossano. Omissione delle disposizioni necessarie affinché la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per ottemperare ai requisiti richiesti dalla direttiva siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e affinché la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico.

Fonte: elaborazione Legambiente, Gazzetta ufficiale europea del 29 gennaio 2011

LEGAMBIENTE - Acque nere. Dossier sulla mala depurazione in Calabria.

1998 – 2008: dieci anni di commissariamento

Nell’ottobre del 1998 la Regione Calabria, già commissariata da oltre un anno per lo smaltimento dei rifiuti, chiede al governo la dichiarazione dello stato di emergenza ambientale anche per affrontare i problemi legati alla rete fognaria e alla depurazione. Di proroga in proroga, il commissariamento nel settore dei rifiuti è tutt’oggi in vigore. Sul fronte della depurazione, invece, la gestione straordinaria viene chiusa nel 2008, dopodiché la competenza sullo smaltimento delle acque reflue torna nelle mani degli Ato e degli enti locali. All’atto del commissariamento, stabilito dall’Ordinanza della presidenza del consiglio dei ministri (Opcm) 2881 del 30 novembre 1998, la relazione della giunta regionale descrive uno scenario di “grave inadeguatezza complessiva del sistema di trattamento delle acque”. Si stima che circa il 20% della popolazione sia servito da fognature insufficienti e che vi siano molti centri abitati totalmente privi di rete, che scaricano i reflui a cielo aperto direttamente nei corsi d’acqua. La stessa analisi viene estesa al sistema degli impianti di trattamento, vecchi, inadeguati e sottoposti a pessima gestione. Insomma, fogne e depuratori non funzionano e sono la causa diretta dell’inquinamento del mare calabrese. Una successiva Opcm, la 2984 del 31 maggio 1999, definisce le competenze e i finanziamenti destinati all’Ufficio del commissario delegato, a capo del quale viene nominato l’allora presidente della Regione. La struttura commissariale deve occuparsi: di realizzare nuovi impianti e di adeguare quelli esistenti, di effettuare opere e collaudi, di mappare le falle del sistema fognario, di progettare gli interventi e proporre al Cipe i piani di investimento. Il tutto in sostituzione dei soggetti preposti, ricorrendo, ove necessario, anche a occupazioni d’urgenza ed espropri. E, naturalmente, in forza dei poteri speciali, in deroga a una lunga lista di norme di settore. Infine arriva l’Opcm 3106 del 20 febbraio 2001, che due anni dopo integra la 2984 e assegna al Commissario anche il compito di predisporre un piano di tutela del sistema idrico per l’intero territorio regionale e di attuare il monitoraggio della qualità delle acque così come richiesto dalle direttive comunitarie. Viene ribadita la necessità di stilare il programma degli interventi e di procedere con la realizzazione dei progetti e delle opere più urgenti. Nel corso degli anni successivi, l’azione dell’Ufficio del commissario si concentra su alcuni progetti. Sostanzialmente sono quelli meno onerosi, quelli di più veloce realizzazione e quelli dislocati lungo la costa e nelle zone ad alta ricettività turistica. Negli ultimi anni di gestione straordinaria, almeno dal 2004 in poi, l’Ufficio del commissario passa molte responsabilità, soprattutto per quanto riguarda la gestione degli impianti e la realizzazione di nuove infrastrutture, nelle mani degli Ato. Nella relazione conclusiva del gennaio 2007, ove si prefigura già un “percorso di superamento della stagione commissariale”, si sottolinea come i numerosi contenziosi con i Comuni per il mancato pagamento dei canoni incida negativamente sulla prospettiva di avviare un ritorno alla gestione ordinaria del sistema. I fondi su cui può contare sono quelli indicati nelle diverse ordinanze del governo (oltre 196 miliardi di lire solo nelle Opcm del biennio1997-1998), oltre a quelli specificamente destinati alla realizzazione di opere di fognatura e depurazione dalle risorse comunitarie, nazionali, regionali e locali. In ultimo, il commissario può fare richiesta di finanziamenti ad hoc entro programmi nazionali e comunitari. Con l’Opcm 3512 del 2006 il governo stanzia altri 8 milioni di euro per fronteggiare l’emergenza ambientale. Questi soldi, che arrivano dal ministero dell’Ambiente e dal fondo di Protezione civile, vengono ripartiti nelle cinque province per la manutenzione straordinaria di alcuni impianti. Nel gennaio del 2007 viene fatto un resoconto degli interventi, effettuati o in corso d’opera in vista di una prossima chiusura della gestione straordinaria. In tutta la Calabria ne risultano 136 (tra rifacimento di collettori, adeguamento di impianti, dismissione di depuratori non funzionanti e avvio delle procedure per realizzarne di nuovi) per una spesa complessiva di 337,1 milioni di euro. In realtà, l’inchiesta Poseidone, sommando i finanziamenti giunti in Calabria per l’emergenza acque, arriva a quantificare il giro di denaro pubblico attorno all’affare depurazione in circa 900 milioni di euro.

Bilancio degli interventi coordinati dall’Ufficio del commissario delegato (gennaio 2007)

Ato Cosenza Catanzaro Crotone Vibo Valentia Reggio Calabria Totale regionale
N° di interventi 54 (*) 24 10 19 29 136
Costo 112 mln € 65,5 mln € 40,6 mln € 63 mln € 63 mln € 337.1 mln € (**) (344,1)

Fonte: elaborazione Legambiente su dati Ufficio del Commissario per l’emergenza ambientale della Regione Calabria (www.ceacalabria.it)

(*) (**) il totale degli interventi per l’Ato1 Cosenza sono 56. Due sono in project financing e da questi deriva verosimilmente la discrepanza tra la spesa complessiva dichiarata di 337,1 mln € e quella data dalla somma dei costi su scala provinciale (344,1 mln €).

Infine l’Opcm 3645 del 22 gennaio 2008 predispone il passaggio dalla gestione straordinaria a quella ordinaria. Nomina il prefetto Salvatore Montanaro nel ruolo del Commissario, che deve concludere entro il 30 giugno dello stesso anno tutte le iniziative in corso e si deve occupare della fase di trasferimento di funzioni e competenze agli enti locali per garantire “il definitivo superamento del contesto di criticità ambientale”. Nel luglio del 2007, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), su richiesta della Procura della Repubblica di Catanzaro, apre un’indagine amministrativa per verificare la corretta gestione dei finanziamenti ricevuti dall’Ufficio del commissario delegato nell’ambito del Por Calabria 20002006. La relazione finale, che arriva alla fine del 2010, è impietosa: gravi irregolarità amministrative, assoluta mancanza di controlli, appalti in deroga alle leggi violando le prescrizioni sul cofinanziamento del programmi comunitari, assenza di collaudi, mancanza di relazioni sulla conclusione o sullo stato dei lavori, varianti e aumenti di spesa non giustificati. In sostanza, gli investigatori della Comunità europea, accusano la struttura commissariale di aver condotto le proprie attività compiendo una serie di gravi irregolarità amministrative, sai formali che sostanziali, e di aver agito nella totale assenza di trasparenza. Per questo raccomanda agli organismi comunitari preposti di agire per il recupero dei fondi relativi a 48 interventi per un totale di 57 milioni di euro.

2. Scarichi illegali e impianti fuorilegge

La Calabria nel 2010 è terza nella classifica nazionale dell’inquinamento del mare, alle spalle di Puglia e Campania. Nel corso di dodici mesi, Capitanerie di porto e Forze dell’ordine rilevano 358 infrazioni, quasi una al giorno, denunciano o addirittura arrestano 440 persone ed effettuano 224 sequestri. Un bilancio pesante, avvalorato dalle analisi campione di Goletta Verde che mettono in luce una situazione allarmante dei fiumi e dei corsi d'acqua minori. Gli esami alle foci dei fiumi Mesima (Rc), quelle dei torrenti San Francesco (Cs), Sant'Anna, Brace e della fiumara Ruffa (Vv) risultano gravemente inquinate. Un livello di contaminazione microbiologica inferiore ma pur sempre fuorilegge viene rilevato alle foci dei fiumi Angitola (Vv) e Petrace (Rc). Grave l'inquinamento riscontrato, a valle dei depuratori o vicino a tubature fognarie, a Lamezia Terme, a Villa San Giovanni (in località Cannitello), a Reggio Calabria (in località Villaggio Sabbie bianche), a Ricadi e a Motta San Giovanni (in località Lazzàro). E ancora sulla costa Ionica, fortemente compromesse la foce dei torrenti Coriglianeto e Trionto (Cs) e dei fiumi Neto ed Esaro (Kr), del torrente Arango, della foce dell'Alli, della Fiumarella a Catanzaro lido e della fiumara in località Sena (Cz). Cattiva manutenzione degli impianti, scarichi non allacciati perché all’interno di lottizzazioni abusive senza rete fognaria, versamenti illegali di fanghi di lavorazione industriale nei corsi d'acqua: i dati delle operazioni condotte dalle Capitanerie di porto e dalle Forze dell'ordine negli ultimi 5 anni restituiscono numeri ben più significativi, frutto della coscienza civile dei cittadini e dell'attività degli investigatori. Ma rappresentano solo la punta dell'iceberg o, se si preferisce, una goccia nel mare. I casi di disprezzo per l'ambiente e per la salute collettiva sono molto più diffusi e ancora troppo tollerati. Tirando le somme, tra il 2006 e il 2010, i Carabinieri del Nucleo tutela ambiente, la Guardia di finanza, il Corpo forestale dello Stato e le Capitanerie di porto accertano 1.689 reati legati alla depurazione e agli scarichi illegali in mare. Il 2008 è l'anno con il maggiore numero di provvedimenti (458) e con il maggiore numero di persone denunciate (514). La provincia con il record di reati è quella di Reggio Calabria, con 694 infrazioni accertate (41% del totale). Catanzaro, con solo 110 interventi (7%), è quella meno toccata dai provvedimenti delle Forze dell'ordine.

L'illegalità ambientale in Calabria 2006 - 2010 depuratori, scarichi fognari, inquinamento da idrocarburi

Anno Infrazioni accertate Persone denunciate o arrestate Sequestri effettuati
2006 297 298 88
2007 287 296 98
2008 458 514 187
2009 276 312 130
2010 371 462 225
Totale 2006-2010 1.689 1.882 728

Fonte: elaborazione Legambiente su dati delle Forze dell'ordine e delle Capitanerie di porto

L'illegalità ambientale nelle province della Calabria (2006 - 2010) depuratori, scarichi fognari, inquinamento da idrocarburi

Provincia Infrazioni accertate % sul totale regionale Persone denunciate o arrestate Sequestri effettuati
Reggio Calabria 694 41% 781 305
Crotone 338 20% 355 64
Vibo Valentia 292 17% 347 173
Cosenza 255 15% 292 145
Catanzaro 110 7% 107 41

Fonte: elaborazione Legambiente su dati delle Forze dell'ordine e delle Capitanerie di porto

Il “giro di Calabria”

I guai maggiori sono senza dubbio quelli che riguardano la costa calabrese che affaccia sul mare Tirreno, notoriamente più antropizzata di quella ionica e meta prediletta di centinaia di migliaia di turisti che ogni estate si riversano sulle spiagge e affollano i piccoli e medi centri abitati. In generale, se sulla carta l’efficienza depurativa a livello regionale si attesta intorno al 74,5%, nella realtà la situazione è molto più critica. Depuratori vecchi e malandati, senza manutenzione o addirittura in stato di completo abbandono. Allacci abusivi, scarichi che vanno direttamente nei corsi d’acqua dolce e da lì fino al mare. L’annus horribilis è senza dubbio il 2005: a causa del mare sporco vengono vietati alla balneazione ben 45 chilometri di costa e la stagione turistica subisce un tracollo, con il 35% di presenze in meno rispetto all’anno precedente. Vengono messi in mare battelli pulitori, con filtri e reti per raccogliere almeno l’immondizia galleggiante, ma non è sufficiente. Alla fine arrivano addirittura le scuse pubbliche a turisti e imprenditori del neo eletto presidente della Regione Agazio Loiero. Una rapida rassegna dei principali episodi di mala depurazione degli ultimi cinque anni restituisce un quadro sconfortante. Che è il sintomo della più totale assenza di responsabilità della pubblica amministrazione, sia dove la gestione fa capo ai Comuni, come nel Vibonese, sia dove gli enti locali dovrebbero esercitare funzioni di controllo sulle aziende private incaricate dagli Ato. Per ritrovare un po’ di fiducia, segnaliamo un’iniziativa in provincia di Reggio Calabria. Qui da alcuni mesi la Capitaneria di porto, in collaborazione con la Polizia provinciale e con i tecnici dell’ArpaCal, sta conducendo una campagna di controlli capillari lungo tutta la fascia costiera. E’ partita dal reggino, dove da giugno a fine novembre scorso una squadra di 35 uomini ha battuto a tappeto i 180 chilometri di litorale da Rosarno a Monasterace. Un vero e proprio censimento degli scarichi illegali e degli scarichi irregolari derivanti da cattivo funzionamento delle reti fognarie e dei depuratori. Poi si è passata al setaccio l’intera costa tirrenica, in sinergia con le capitanerie di Gioia Tauro, Vibo Valentia e Cetraro. L’iniziativa, tutt’ora in corso, dall’inizio del 2011 si sta occupando del litorale ionico. Sperando che alla mappatura delle falle facciano prontamente seguito tanti interventi di manutenzione, ecco un “giro di Calabria” con alcuni dei casi di mala depurazione accaduti negli ultimi anni.

Il Tirreno Cosentino e l’operazione Nettuno

Risale al biennio 2004 - 2005 la campagna “Mare da bere” con cui l’amministrazione provinciale di Cosenza si proponeva uno screening della situazione depurazione sul versante tirrenico, allo scopo di evidenziare i deficit e individuare soluzioni che portassero all’efficienza del sistema. L’intenzione era quella di fare funzionare meglio il rapporto tra la struttura dell’Ato e i Comuni e dare corso agli interventi sui numerosi impianti messi sotto sequestro dalla magistratura. Purtroppo la cronaca degli anni successivi racconta quanto quel proposito sia rimasto tale. Basta una carrellata dei provvedimenti di sequestro effettuati nella seconda metà degli anni 2000 per capire che la situazione è disastrosa. Spesso vengono messi i sigilli agli stessi impianti interdetti l’anno precedente, senza che sia stato fatto alcun intervento. A metà luglio del 2005, sotto gli occhi stupefatti di centinaia di turisti, esplode la condotta fognaria a Diamante. Per un intero fine settimana i liquami sgorgano indisturbate nello specchio di mare a ridosso del porto della cittadina, perché la ditta che si occupa della gestione non lavora il sabato e la domenica ed è in grado di mettere una toppa solo la settimana successiva. Intanto la Procura della Repubblica di Paola, che con l’operazione Nettuno da due anni batte a tappeto la provincia, mette a segno una serie di sequestri. Per cominciare vengono posti i sigilli a due lavatrici industriali e al depuratore del carcere di Paola, perché secondo le indagini dei carabinieri del Noe di Catanzaro scaricavano fanghi ricchi di tensioattivi e fosforo nel torrente Deuda che poi li trascinava dritti in mare. Nelle stesse ore vengono sequestrate due condotte sottomarine del depuratore di Scalea che risultano difformi rispetto al progetto dell’impianto e senza autorizzazione allo scarico in mare. Stessa sorte per l’impianto di Verbicaro da cui risulta una grave fuoriuscita di schiume e liquami nelle acque dei torrenti San Pietro e Belarda, affluenti nel fiume Abatemarco e quindi nel Tirreno. L’impianto, già segnalato mesi prima per la necessità di alcuni lavori, non ha subito alcun intervento di ammodernamento nonostante le prescrizioni dell’ufficio ambiente della Provincia. Finisce la stagione balneare, ma prosegue l’attività dei magistrati. A ottobre viene requisita una condotta fognaria nel comune di Lago perché i reflui di una ventina di famiglie non sono convogliati nel depuratore ma vanno diretti nelle acque del torrente Catocastro fino a sfociare in mare nel comune di Amantea. Idem per l’impianto di Marina di Savuto, a Cleto, dove il Corpo forestale dello Stato verifica il rilascio in fosso, e quindi nel fiume Savuto, di acque non depurate. A novembre finisce sotto sequestro l’impianto di Aiello Calabro. Sempre nell’autunno del 2005 l’operazione Nettuno, grazie alla collaborazione del secondo nucleo aereo della Guardia costiera di Catania, fotografa dall’alto lo stato del Tirreno cosentino: con l’uso di tecnologia a infrarossi, solo nel tratto meridionale di costa tra Amantea e San Lucido rileva almeno 14 aree con scarichi sospetti. Nel marzo del 2007 è la volta di due impianti nel territorio del comune di Diamante, uno in località Sorbo e l’altro, che serve anche i comuni di Grisolia e Maierà, nella frazione di Cirella. La società che li gestisce, la Smeco, secondo la Procura è responsabile di interruzione del servizio di depurazione: il personale risulta assente e lo stabilimento in evidente stato di abbandono. A settembre i carabinieri denunciano il legale rappresentante della Smeco, che gestisce gli impianti dell’intera provincia: l’accusa è smaltimento illegale di fanghi derivati dal processo di depurazione. Anno nuovo, stesso copione. Nell’estate del 2008 un unico blitz del Corpo forestale dello Stato mette i sigilli a 4 impianti fatiscenti a Longobucco, nelle frazioni di Ortiano e Destro, le cui autorizzazioni sono scadute nel 2004 e su cui non avvengono controlli da molto tempo. Le acque finiscono copiosamente nei corsi d’acqua con il grave rischio di avvelenare gli animali dei pascoli della zona. Siamo nel 2009 e, su denuncia dei turisti che si trovano di fronte un mare così inquinato da essere inaccessibile, a fine giugno arriva il sequestro di 6 depuratori nei comuni di Santa Maria del Cedro, Cirella, Grisolia, Maierà e Diamante. Contemporaneamente arrivano anche gli avvisi di garanzia ai sindaci inadempienti, ai tecnici dei Comuni e ai responsabili delle società di gestione. Pochi giorni dopo si aggiungono i provvedimenti per gli impianti dei comuni di Fuscaldo, di Guardia Piemontese, di San Nicola Arcella e Santa Domenica Talao. Sempre nel 2009, dopo anni di denunce del locale circolo di Legambiente, viene finalmente chiuso il vecchio depuratore del Comune di San Giovanni in Fiore (in località Olivaro) che, sottodimensionato e in cattive condizioni, da tempo non è più in grado di trattare correttamente le acque reflue. A supporto, negli anni ’90, è sorto un impianto più grande e moderno, in località Macchia di lupo, al quale oggi con un complesso e costoso sistema di collettori vengono convogliati anche i reflui prima trattati dal vecchio impianto. Ancora oggi però ci sono zone nella parte bassa del paese che non sono servite, così come ci sono allacci e scarichi abusivi nei corsi d’acqua.


Scarico fognario presso il Ponte della Cona nel fiume Neto.

Nel 2010 il Corpo forestale dello Stato di Castrovillari e la Guardia costiera intervengono sull’impianto di San Sosti e la Procura indaga quattro persone per danneggiamento e deturpamento di bellezze naturali, smaltimento illecito di rifiuti e deturpamento del fiume Rosa, sottoposto a vincolo paesaggistico. Una nota merita infine la situazione di Rossano, paese di 45 mila abitanti e tre depuratori tra la Sila e la costa ionica cosentina. Fino a due anni fa il centro storico non era collegato ad alcun impianto, mentre ora la copertura è completa. Ma nonostante i rossanesi depurino il 100% dei propri reflui, il loro mare è inquinato. Specialmente d’estate quando le presenze turistiche si moltiplicano, dai piccoli comuni limitrofi, dove prevedere un depuratore è considerato troppo oneroso, arrivano puntuali gli scarichi a colorare le acque cristalline: di norma intorno alle 11 del mattino si può vedere la scia nera che fa capolino e i bagnanti rassegnati che escono in fretta dall’acqua.

Il Crotonese

Alla fine degli anni novanta, all’atto dell’insediamento della struttura commissariale, secondo la rilevazione del servizio tutela ambiente della Asl, la situazione nei 27 comuni della provincia ionica è “disastrosa”. Nel 2006 la Provincia di Crotone predispone un programma di manutenzione straordinaria degli impianti per mettere in efficienza il sistema fognario e quello di depurazione. Allo scopo, prevede lo stanziamento di circa 800 mila euro, di cui una parte rilevante destinati agli impianti della fascia costiera. E proprio da qui, dai comuni della costa, che la Provincia nel 2010 decide di partire per verificare le condizioni del sistema. Il risultato dei controlli è desolante e viene confermato dalla relazione di fine anno della Capitaneria di porto: solo due impianti risultano in regola, quelli di Torretta di Crucoli, risalente alla seconda metà degli anni ’70, ma sottoposto a numerosi interventi di riqualificazione, e quello di Cutro. Quello di Rocca di Neto è in condizioni così precarie da rendere necessario il sequestro immediato. Il depuratore di Cirò Marina, che risale al 1972, è senza autorizzazioni e l’acqua di scarico ha i parametri chimici oltre i limiti, nonostante i tanti interventi di manutenzione. Si trova sul lungomare cittadino, poco lontano dalla spiaggia, e spesso causa cattivi odori. Stessi problemi per quello di Torre Melissa che scarica nell’omonimo canale. Anche il depuratore di Strongoli, costruito di recente e con tecnologie avanzate, rilascia acque non sufficientemente trattate a giudicare dalle analisi dei torrenti Arancio e Survolo. Datato e inefficiente è invece l’impianto di Crotone, che rilascia miasmi e reflui non a norma nel torrente Papaniciaro. Tre sono i depuratori nel comune di Isola di Capo Rizzuto: in località Mazzotta, a Capopiccolo e a Le Castella. Il depuratore di Capopiccolo è del 1992, costruito a 500 metri dal mare di fronte all’area marina protetta, non possiede ancora l’autorizzazione.


Il fiume Tacina

All’inizio di agosto del 2008 l’impianto di Le Castella va in tilt sotto la pressione turistica e a causa di un allaccio illegale alle condotte. Nel 2009 Legambiente, Wwf, Italia Nostra e l’associazione Amici del Neto denunciano il grave stato di inquinamento del fiume Tacina a causa dei versamenti incontrollati delle acque oleose residue dei frantoi della zona.

La provincia di Catanzaro e l’Ex Sir di Lamezia Terme

A metà degli anni 2000 la depurazione in provincia di Catanzaro è decisamente fuori controllo: i sindaci dei Comuni dell’Ato 2 sono alle prese con un aspro contenzioso economico con le ditte incaricate della conduzione degli impianti: la gestione del sistema è allo sbando e i dipendenti delle società sono senza stipendio da mesi e rischiano di perdere il posto di lavoro. Nel disastro generale, però, qualcosa si muove. Finalmente, nell’estate del 2005, le fogne del Comune di Roccella vengono collegate al nuovo depuratore consortile realizzato sotto la guida del Commissario straordinario. Con una capacità di 50 mila ab/eq è in grado di assicurare anche la copertura del comune di Caulonia anche in piena stagione turistica. Viene messa mano anche alle opere mancanti del depuratore di Argani di Tropea, realizzato da alcuni anni ma mai collaudato, per cui sono già stati spesi 5 milioni di euro. Piuttosto travagliata è invece la vicenda della costruzione del nuovo impianto a Catanzaro Lido. Il Commissario nel dicembre 2005 blocca la prima gara d’appalto, indetta due anni prima, per mancanza di copertura finanziaria. L’anno successivo l’Ato presenta una relazione per accedere a un contributo del Ministero dell’ambiente e risolvere il problema: riesce nell’intento, ma ottiene un finanziamento sotto forma di mutuo pluriennale. Il progetto prevede il trattamento delle acque reflue di 105 mila abitanti equivalenti e la realizzazione di 32 chilometri di fognatura al servizio del centro storico della città che ne è completamente sprovvisto. L’appalto per questo impianto, tra l’altro, è uno dei tanti al centro dell’inchiesta Poseidone, le cui udienze sono cominciate da poche settimane. Sul fronte dei sequestri, tra i più recenti c’è quello dei due impianti a Pianopoli requisiti dai carabinieri nell’ottobre del 2009 perché riversavano acque non trattate nel torrente Badia, affluente del fiume Gaggia, quindi dell’Amato che sfocia nel golfo di Sant’Eufemia Lamezia. A marzo del 2010 la Procura di Lamezia Terme dispone i sigilli per due depuratori a Platania, piccolo comune dell’entroterra, il cui scarso funzionamento causa inquinamento a mare. A fine luglio finisce sotto sequestro quello di Nocera Terinese, dove conferiscono le reti dei comuni di Nocera, Falerna Superiore e dove scaricano anche i comuni cosentini di Belmonte e Amantea. Secondo i carabinieri la società che gestisce l’impianto sta causando danni all’alveo del torrente Grande, affluente del Savuto. Una delle vicende più travagliate della provincia di Catanzaro è certamente quella del depuratore consortile nell’area industriale Ex Sir di Lamezia Terme, che tratta anche le acque di Gizzeria, Falerna, Filadelfia e Curinga, per un totale di circa 120 mila abitanti. Un impianto che il sindaco Gianni Speranza definisce senza mezzi termini una “bomba ecologica”, che vive da anni una situazione estremamente critica: funziona a singhiozzo, i dipendenti non prendono lo stipendio per lunghi periodi, la normale manutenzione non viene garantita. L’ultimo provvedimento di sequestro, eseguito da Guardia di finanza e carabinieri del Noe, risale alla seconda metà di luglio del 2010. Il sopralluogo delle Forze dell’ordine non può che accertare quanto denunciato a più riprese da cittadini, aziende e operatori commerciali del territorio costiero: l’impianto non funziona come dovrebbe e quindi inquina. Secondo la procura i danni sarebbero causati sia da ragioni tecniche, un errore di progettazione dello stabilimento, sia dalla pessima gestione da parte della ditta incaricata. Pochi giorni fa, a metà gennaio, l’ennesima denuncia: le tubature dell’impianto scaricano acque non trattate che vanno a imputridire il mare. D’inverno non se ne accorge quasi nessuno, ma d’estate le acque oleose sono sotto gli occhi dei bagnanti. Infine, proprio mentre stiamo chiudendo questo dossier, giunge la notizia di un nuovo maxisequestro: i carabinieri, su disposizione del procuratore della Repubblica di Lamezia Salvatore Vitello, mettono i sigilli a 16 depuratori in 11 comuni della provincia. Trenta giorni di tempo ai sindaci di Conflenti, Martirano Lombardo, Martirano, Carlopoli, Soveria Mannelli, Decollatura, Maida, Jacurso, Cortale, Motta Santa Lucia e San Mango d'Aquino, per effettuare gli interventi urgenti necessari per fermare l’inquinamento prodotto in mare e nei torrenti in cui versano le acque gli impianti. Una recente verifica dei tecnici dell’ArpaCal ha segnalato alcune criticità lungo la costa del comune di Lamezia e nel mare di fronte a Soverato. In particolare sono state analizzate le acque alla foce dei fiumi Amato e Ancinale, per le quali è stato chiesto un intervento dell’Ato.


I depuratori comunali del Vibonese

Siamo nella provincia che conta il 60% dei posti letto di tutta la regione, per lo più concentrati nei mega villaggi turistici. Qui il sistema idrico è in mano ai Comuni, che gestiscono direttamente o con appalto a ditte private la rete dei depuratori. Ma l’antifona non cambia: mancati controlli, guasti, impianti vecchi che non depurano, insomma un quadro di inefficienze, spesso aggravato dalla eccezionale pressione antropica estiva. Per esempio, nel comune di Ricadi l’impianto cittadino è tarato su una popolazione di 700 abitanti. Con la stagione estiva puntualmente collassa a causa della pressione turistica e se arriva a garantire il 10% della depurazione è molto. Tra i sequestri più recenti, c’è quello effettuato dalla Capitaneria di porto nel giugno 2010 all’impianto di San Nicolò di Ricadi. Lo stabilimento è totalmente fuori uso e gli scarichi finiscono direttamente nel Tirreno attraverso le condotte sottomarine. Il mese prima i carabinieri del Noe, con i tecnici dell’ArpaCal, smascherano alcune imprese che versavano illegalmente acque reflue ricche di cloruri, solfati e rame dentro il depuratore della zona industriale di Maierato. A dicembre la Procura della Repubblica di Vibo Valentia, con un inchiesta sull’inquinamento del fiume Mesima coordinata dal procuratore Mario Spagnuolo, mette i sigilli a ben 7 impianti in diversi comuni della provincia, a Rombiolo, Vallelonga, Jonadi, Filogaso, Sant’Onofrio, Pizzoni e Limbadi.

E’ di poche settimane fa, infine, la richiesta di condanna a un anno di reclusione dell’attuale presidente della Provincia nonché sindaco di Filadelfia. Secondo la Procura di Lamezia Terme, che gli contesta la violazione di norme ambientali, nella sua veste di primo cittadino e insieme agli assessori della sua giunta sarebbe responsabile di negligenza per non avere fatto riattivare il depuratore cittadino gestito dal Comune. Ma non sono solo i depuratori ad avvelenare le acque. Lo scorso ottobre i carabinieri del Noe, sequestrano un’azienda chimica, la Marteen di Maierato che produce e commercializza detersivi, perché versa illegalmente scarti di lavorazione nel fosso Scotrapiti anziché affidarli alle ditte autorizzate per lo smaltimento di rifiuti speciali. Nelle acque del fosso, che confluiscono nel lago Angitola (area Ramsar, zona umida di interesse internazionale per la tutela degli habitat degli uccelli acquatici), i tecnici dell’Arpacal trovano metalli pesanti, come cromo, ferro, arsenico, mercurio e piombo.

La provincia di Reggio Calabria

Nel 2010 la già citata campagna condotta dalla Capitaneria di porto scheda i depuratori lungo i 180 chilometri di costa reggina, mettendo nero su bianco, impianto per impianto, lo stato di funzionamento, le criticità e gli interventi necessari. Dei 42 impianti sottoposti a verifica ben 14 risultano fuori uso (33%). Negli altri casi i tecnici rilevano gravi carenze dal punto di vista della manutenzione, sistemi di disinfezione non a norma, irregolarità nello smaltimento dei fanghi post trattamento e inefficienza dei sistemi di grigliatura. Ben 90 gli illeciti amministrativi, tra mancanza di autorizzazioni e carenze documentali, e 20 le informative alla Procura della Repubblica. Sul fronte delle reti, invece, i sopralluoghi sono 160 e portano alla luce: 28 stazioni di sollevamento non funzionanti, 8 condotte danneggiate, 37 con criticità legate alla scarsa manutenzione e 23 comuni con aree del proprio territorio non collegate alla fognatura. Nel golfo di Gioia Tauro arrivano le acque del fiume Mesima, che sfocia in mare a San Ferdinando, vicino a Rosarno. Come abbiamo già raccontato porta con se le acque inquinate di decine di comuni dell’entroterra dove i depuratori, se ci sono, molto spesso funzionano a singhiozzo. Qui arrivano anche i torrenti Budello e Petrace fortemente compromessi da scarichi illegali. Ma Gioia Tauro ha anche problemi con il sistema di depurazione cittadino. Problemi sostanzialmente legati alla produzione di olio d’oliva, attività di cui è il centro più importante della regione. Nella rete fognaria infatti vengono versate illegalmente acque reflue dei frantoi che causano il cattivo funzionamento del sistema di depurazione, basato su un processo biologico. I frequenti guasti producono perdita di liquami in mare e non di rado hanno costretto l’amministrazione comunale a imporre il divieto di balneazione. D’altro canto gli appelli dei sindaci e della Procura alle imprese, perché consegnino le acque dei loro frantoi alla ditta autorizzata e cessino l’attività di smaltimento illegale, finora sono caduti nel vuoto. Per scorrere alcuni casi degli ultimi anni, nella primavera del 2005 la Capitaneria di Porto di Reggio sequestra il depuratore di Caraffa del Bianco, piccolo comune alle pendici dell’Aspromonte. Le acque di scarico arrivano ancora fortemente contaminate in mare attraverso il torrente Sant’Agata, il cui utilizzo da parte del Comune peraltro non risulta sia autorizzato. Nel giugno del 2006 a causare lo stop del depuratore consortile di Siderno è invece il distacco dell’elettricità da parte dell’Enel. Ma i ritardi nel pagamento delle bollette, secondo i sindaci di Siderno e di Locri, sono legati al mancato pagamento alla società di gestione da parte della Regione, per cui è necessario attivarsi per sospendere l’interruzione della fornitura e permettere ai dipendenti e all’impianto di lavorare, a maggior ragione visto l’approssimarsi della stagione estiva. La città di Reggio Calabria è servita da tre impianti, quello di Ravagnese, quello di Pellaro e quello che si trova nel rione Gallico. Ravagnese è il più grande impianto di depurazione della regione. Risale agli anni 80 e si dice sia stato costruito con tecnologie già allora vetuste. Molto spesso costringe gli abitanti del quartiere a tapparsi letteralmente in casa per i miasmi rilasciati dal processo di trattamento. Oggetto di interventi di riqualificazione fino al 2010, secondo molti andrebbe spostato a una distanza maggiore dal centro abitato. Il depuratore di Gallico, nella zona nord del capoluogo, è da decenni un perfetto esempio di opera pubblica mal funzionante e mal gestita. Nei collettori vengono abitualmente scaricati gli scarti degli agrumeti che guastano il processo di trattamento delle acque. Pochi mesi fa sono stati riaperti i cantieri per lavori di ammodernamento e per la realizzazione di una terza vasca per i liquami. Quello di Pellaro è situato nella zona sud della città. Nella primavera del 2009 viene potenziamento, portando da 20 a 30 mila persone la popolazione servita. I recenti controlli effettuati dall'Arpacal e dalla Capitaneria di porto confermano la diagnosi: Gallico e Ravagnese hanno tutt’ora seri problemi di manutenzione e danni alle strutture che provocano fuoriuscita di liquami, mentre Pellaro è in condizioni migliori e, dopo i lavori di sistemazione, funziona a regime.

3. La grande truffa della depurazione calabrese

Nel corso dell’ultimo decennio la depurazione in Calabria è al centro di alcune vicende giudiziarie. La più nota è senza dubbio Poseidone. Avviata nel 2005 dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, nel gennaio del 2010 è giunta al rinvio a giudizio di 39 persone, tra cui figurano molti nomi eccellenti della politica, per associazione a delinquere, concussione, falso ideologico, truffa e turbativa d’asta. Ma a denunciare lo stato di abbandono e di degrado del sistema di trattamento delle acque ha contribuito anche il lavoro di altre due procure calabresi. Quella di Paola che con l’operazione Nettuno, sempre a partire dalla metà degli anni 2000, si occupa dell’inquinamento sulla costa del Tirreno cosentino. E sullo stesso versante c’è quella di Vibo Valentia coordinata dal procuratore Mario Spagnuolo che, partendo dal grave stato d’inquinamento del fiume Mesima, alla fine 2010 mette i sigilli a numerosi impianti fuorilegge della provincia. Non va dimenticato l’interesse delle cosche criminali. A cominciare da quello della cosca dei Condello, il cui coinvolgimento negli appalti per la ristrutturazione dei depuratori della città di Reggio Calabria è raccontato dalle inchieste della magistratura che hanno portato negli ultimi anni a decine di arresti tra le fila delle ‘ndrine più potenti del reggino. Recentissima è infine la drammatica vicenda legata al suicidio, a metà dicembre del 2010, di una dirigente del Comune di Reggio, accusata di aver sottratto ingenti fondi pubblici dalle casse dell’amministrazione. Le inchieste, una sulla sua morte e l’altra sulle false consulenze, sono solo all’inizio. Già dalle prime indagini emerge però come tra le opere pubbliche su cui sarebbero stati pagati i consulenti fantasma ci fossero anche i depuratori della città.

Poseidone

E’ iniziato da poche settimane il processo agli imputati dell’inchiesta Poseidone, l'inchiesta sulla mala depurazione in Calabria avviata nel 2005 dagli uffici della Procura della Repubblica di Catanzaro. Le indagine dei carabinieri, coordinate dall’allora sostituto Luigi De Magistris, mettono in luce un vasto campionario di abusi e illeciti nella gestione dei fondi stanziati dallo Stato e dall'Unione Europea. Centinaia di milioni di euro che, anziché servire a mettere in efficienza il disastrato sistema regionale della depurazione, venivano utilizzati per favorire un collaudatissimo sistema di clientele e di malaffare, questo sì, perfettamente funzionante. La più classica delle truffe, con dentro tutti: imprenditori, tecnici e pubblici amministratori. A maggio arrivano i primi 12 avvisi di garanzia e tra i destinatari c'è anche l'ex presidente della Regione Giuseppe Chiaravalloti. Secondo l’accusa l’Assessorato regionale all’ambiente non avrebbe rispettato le procedure in materia di appalti. Con l’avvio del commissariamento poi, gli spazi per le condotte illecite degli indagati anziché restringersi si sono allargati, celando dietro lo stato d’emergenza una colossale rete di tangenti. Un mare di soldi, dunque, che piove sulla Calabria. Per mettere a regime i depuratori e sistemare le condotte fognarie, per risanare finalmente i torrenti e i fiumi utilizzati da decenni come scarichi per le acque reflue nella totale assenza di controlli. Soldi che invece vengono intascati da persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato e dell'Europa, abuso d'ufficio e disastro ambientale. L'indagine nasce sulla scorta della relazione sull'inquinamento delle coste e sullo stato dei depuratori redatta nel 2004 dalla sezione calabrese della Corte dei conti. Nel documento si mettono in evidenza le responsabilità degli amministratori regionali per la cattiva gestione degli impianti lungo la costa tirrenica, in particolare nel territorio tra le province di Vibo Valentia, Catanzaro e Cosenza. La conclusione è spiazzante: “solo il 10% delle opere messe a bilancio è stata collaudata”.

Impianti realizzati ma mai nemmeno collaudati, mancato rispetto delle procedure di legge nell'assegnazione degli appalti, situazioni d'emergenza create ad hoc per beneficiare dei fondi. E proprio nell'estate del 2004 Legambiente aveva denunciato pubblicamente la cattiva gestione del sistema di depurazione e il grave livello d’inquinamento delle acque, assegnando la Bandiera nera di Goletta Verde all'allora presidente regionale, nonché commissario straordinario, Chiaravalloti “per l’emergenza ambientale in Calabria, perché in quasi sette anni di attività e nonostante centinaia di miliardi di vecchie lire spesi per costruire depuratori e fognature, ha clamorosamente fallito l’obiettivo, così come si evince da una recente relazione della Corte dei Conti”. Un riconoscimento profetico, giunto due anni prima degli avvisi di garanzia a conclusione delle indagini. L’anno successivo, a gennaio del 2006, quando sono ancora in corso le indagini preliminari, il sostituto procuratore De Magistris, insieme ai colleghi Isabella De Angelis e Salvatore Murone, viene ascoltato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. I magistrati raccontano che tutto è partito dalle segnalazioni circostanziate di cittadini e turisti sullo stato di grave inquinamento di alcuni tratti di mare. Accanto a queste denunce, c’é la relazione della Corte dei conti che mette nero su bianco l’esistenza di irregolarità amministrative negli appalti e nella costruzione dei depuratori. Agli investigatori risulta un quadro piuttosto complesso, fondato su un diffuso sperpero di denaro pubblico impiegato per finanziare impianti e reti fognarie fantasma. E risulta anche la condotta irregolare di alcuni funzionari pubblici, che occupano ruoli di responsabilità all’interno della struttura commissariale o dell’Assessorato regionale all’ambiente e al contempo risultano dirigenti in società nel settore della depurazione. Che vestono cioè sia i panni del controllore che quelli del controllato. Anche le procedure per l’assegnazione delle opere, spesso con affidamento diretto, vengono dunque messe sotto la lente. In particolare i carabinieri di Catanzaro scoprono che l’Ufficio del commissario, violando le procedure comunitarie in materia di appalti, ha erogato 200 milioni di euro a due ditte del vibonese per la realizzazione di opere che non risultano essere mai state ultimate e tantomeno collaudate. La struttura commissariale di fatto, anziché lavorare per risolverla, gestisce l’emergenza allo scopo di prolungarla e così ottenere e distribuire ingenti fondi pubblici a getto continuo. Insomma una gigantesca truffa ai danni dello Stato e della Comunità europea, con l’aggravante di non risolvere e anzi peggiorare la situazione ambientale del mare calabrese. Intanto a novembre vengono emessi nuovi avvisi di garanzia, altre sette persone, tra imprenditori e dipendenti pubblici, risultano indagate per associazione a delinquere, corruzione e riciclaggio. Nella primavera del 2007 gli indagati sono una cinquantina e i finanziamenti al centro dell’inchiesta arrivano a toccare la cifra esorbitante di 900 milioni di euro. A settembre il numero degli avvisi di garanzia è balzato a 100 e le carte dei pm riempiono 90 faldoni. Sulla stampa si parla oramai di maxindagine. Intanto ci sono anche le prime archiviazioni, spesso per prescrizione, e molti nomi della lista dei cento escono di scena. Altri personaggi coinvolti a vario titolo vengono “stralciati” e affidati alla competenza di altre Procure, altri sono in attesa di otttenere l’archiviazione dal gip, altri ancora risulterebbero ancora sotto indagini. Infine a Gennaio del 2010 arriva il rinvio a giudizio per 39 delle quaranta persone ancora indagate dall’inchiesta Poseidone. Tra queste, ci sono l’ex presidente della Regione Giuiseppe Chiaravalloti, l’ex assessore all’Ambiente Domenico Basile e l’ex sub commissario Giovanbattista Papello.

L’attività delle procure di Paola e di Vibo Valentia

Nell’estate del 2005 la Provincia di Cosenza viene rivoltata come un calzino. L’operazione Nettuno della Procura di Paola, avviata nel settembre del 2003 e coordinata prima dal pm Francesco Greco e poi da Bruno Giordano, mette a segno una raffica impressionante di sequestri. Uno dopo l’altro a decine di depuratori vengono messi i sigilli: perché non funzionano, perché scaricano acque contaminate nei fiumi e nei torrenti e sono quindi la causa delle chiazze marroni che ogni giorno puntuali compaiono nel mare cosentino. Nella rete della Procura finiscono sia impianti costieri che nei comuni dell’entroterra. Spesso però vengono autorizzati in deroga per alcuni mesi, il magistrato ordina l’esecuzione e i tempi degli interventi necessari al ripristino del loro pieno funzionamento. Ma è un diktat che quasi sempre resta lettera morta. Il depuratore continua a non depurare e tutto rimane come prima. Fino a che il problema rispunta. E allora ecco un nuovo sequestro, ma a quel punto la dose è rincarata: arrivano le denunce per omesso controllo ai sindaci e ai tecnici dei Comuni che hanno fatto finta di non vedere. E arrivano le multe. Ma anche in questo caso molti impianti continuano a versare nelle stesse condizioni disastrose. Insieme ai problemi strutturali, a peggiorare la situazione, ci sono anche quelli aziendali: mancano i conferimenti dei Comuni e le società, oltre a non avere i soldi per le riparazioni, non hanno nemmeno quelli per pagare gli stipendi agli operai. Qualche chilometro più a sud, a Vibo Valentia, si muove invece l’ufficio del Procuratore Mario Spagnuolo che alla fine del 2010, dopo un anno d’indagini condotte con l’ausilio della Capitaneria di porto, dispone alcuni sequestri e traccia un quadro tutt’altro che rassicurante della depurazione nella provincia. L’inchiesta si concentra sul bacino Marepotamo – Mesima, dove i Carabinieri del Noe di Catanzaro e Napoli ispezionano 17 impianti che servono il territorio di 22 comuni: di questi a metà dicembre ben sette vengono requisiti, più del 40%. Sono tutti di proprietà comunale, così finiscono direttamente nei guai sindaci e responsabili tecnici: sei gli avvisi di garanzia e decine le perquisizioni negli uffici delle amministrazioni locali e della Provincia. E siccome il problema è che gli impianti non sono stati messi nelle condizioni di funzionare, mentre è noto anche qui che di soldi per la depurazione ne sono stati stanziati molti, la Procura manda i militari anche in Regione, a curiosare tra le carte degli assessorati e dell’ufficio del Commissario. “Perché c’è da capire – sintetizzato il procuratore Spagnuolo – come i fondi sono stati utilizzati e come si è potuto far esistere qualcosa che non esiste”.

Gli interessi della ‘Ndrangheta nella città di Reggio Calabria

Nel febbraio 2008 un blitz che impegna oltre 100 carabinieri del Ros e del Gruppo operativo Calabria porta all’arresto di Pasquale Condello, latitante storico della ‘ndrangheta noto con il soprannome de “il supremo”. A giugno dello scorso anno l’operazione Meta, condotta in Calabria, Lombardia, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna e coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria mette in carcere 42 persone affiliate ai clan, tra cui alcuni esponenti della cosca Condello. Associazione mafiosa ed estorsioni i reati contestati, ma anche turbata libertà degli incanti: le ‘ndrine, secondo gli investigatori, dominano alcuni appalti pubblici nel reggino attraverso l’affidamento dei lavori a imprese sotto il loro controllo. Tra questi c’è anche l’appalto per i lavori di realizzazione del depuratore di Gallico, Reggio centro e Pellaro. Un coinvolgimento già smascherato dai carabinieri e dagli uomini della forestale nel marzo del 2006, quando Pasquale Condello è ancora a piede libero. In quella occasione con l’operazione Vertice, vengono arrestate 33 persone con l’accusa di associazione mafiosa, favoreggiamento, estorsione e riciclaggio: anche queste sono tutte considerate affiliate alla cosca del boss. Dalle indagini, che portano al sequestro di beni per un valore di 50 milioni di euro, emerge una collaudata attività criminale, che va dall’estorsione al riciclaggio attraverso una fitta rete di imprese intestate fittiziamente a un certo numero di prestanome. Ed è qui che salta fuori il depuratore di rione Gallico. Pasquale Condello, raccontano le carte dell’inchiesta, alla fine degli anni novanta avrebbe cercato di fare ottenere alcuni lavori a una ditta sotto il suo controllo, ma l’allora sindaco Italo Falcomatà si oppone e proprio per questo riceve alcune pesanti intimidazioni.

Il caso Fallara

Il 18 dicembre del 2010, dopo aver ingerito una dose letale di acido muriatico, muore suicida Orsola Fallara, dirigente del Comune di Reggio Calabria. Quarantaquattro anni, a capo del settore tributi e finanze da dieci, è accusata di aver percepito indebitamente onorari per centinaia di migliaia di euro. Fallara finisce sotto indagine per abuso d’ufficio nell’ambito di una inchiesta della Procura reggina: secondo l’accusa avrebbe intascato almeno 530 mila euro, chi dice 1 milione, per rappresentare il Comune alla commissione tributaria, organo a cui avrebbe dovuto partecipare, ma senza ricevere alcun compenso. L’intera vicenda si consuma nel volgere di due mesi. A ottobre alcuni consiglieri comunali di opposizione indicono una conferenza stampa e accusano la dirigente. Comincia il “caso Fallara”. Sospesa per 30 giorni dal suo incarico, il 16 dicembre convoca i giornalisti, attacca i suoi detrattori, si difende e quindi si dimette. La sera successiva si reca al porto a bordo della sua automobile e si avvelena. Nelle indagini, solo poche settimane fa, risulta il coinvolgimento dell’architetto Bruno Labate e fanno capolino i depuratori della città. Stretto collaboratore del presidente della Regione Giuseppe Scopelliti fin da quando era sindaco di Reggio, Labate percepisce dal settore bilancio, ossia dalla Fallara, soldi per incarichi fantasma. In particolare, i pm Sara Ombra e Francesco Tripodi verificano una dazione di 180 mila euro a fronte di una consulenza, mai resa, proprio per i lavori di ristrutturazione degli impianti di Gallico e Ravagnese. In seguito saltano fuori altri pagamenti, relativi a opere pubbliche mai realizzate, per circa 360 mila euro. Labate ammette di non aver svolto alcuna prestazione per il Comune, non potere giustificare quelle somme e si dichiara disposto restituire il maltolto. L’inchiesta sulle finte consulenze è solo all’inizio, ma secondo gli investigatori promette di portare allo scoperto una consolidata prassi fraudolenta negli ufficio della già dissestata amministrazione di Reggio Calabria. Indagato per abuso d’ufficio nella sua veste di ex-sindaco di Reggio, anche il presidente della Regione Scopelliti.

4. SOS fiumi. Le denunce di Goletta Verde

“In mare gli scarichi non trattati di oltre 500.000 calabresi”. “Codice rosso per le foci dei fiumi”. “Preoccupante lo stato di salute del mare calabrese”. “Grave deficit depurativo. Pesante il bilancio di fiumi e torrenti”. “Allerta inquinamento”. “Sos foci dei fiumi”. Sono sempre uguali i titoli dei comunicati stampa di Goletta Verde in Calabria negli ultimi anni. A testimoniare la gravità della situazione e quanto l’inquinamento arrivi al mare da terra, in particolare dai corsi d’acqua troppo spesso trasformati in discariche, anche di sostanze pericolose smaltite illegalmente. Ogni estate i tecnici di Legambiente tornano a fare i campionamenti per misurare la salute del mare. Un monitoraggio che non ha la pretesa di sostituirsi alle istituzioni preposte e offrire dati ufficiali, ma che verifica le segnalazioni dei cittadini preoccupati per l'ambiente marino e per la loro salute. A fronte di un maggiore controllo delle istituzioni sulle acque balneabili delle spiagge più affollate, l'attenzione dei nostri biologi con il tempo si è rivolta alle foci dei fiumi e agli specchi d'acqua in prossimità di scarichi illegali. Luoghi dove la concentrazione di sostanze inquinanti è indice inequivocabile di cattiva depurazione. E qui la situazione si è sempre rivelata immutabilmente drammatica. Centinaia di milioni di euro stanziati per riparare vecchi impianti, adeguare quelli sottodimensionati, costruirne di nuovi. Insomma per tirare fuori dall’emergenza depurazione la Calabria. Ma come sono stati spesi? A chi sono stati affidati? Spesso alle stesse ditte responsabili della cattiva gestione, oppure agli stessi enti locali colpevoli della mancata vigilanza. Quindi nelle mani sbagliate, almeno a giudicare dai risultati e dalle storie che emergono dalle pagine degli atti giudiziari.


I tecnici di Goletta Verde durante i campionamenti in Calabria nel 2010

Il caso del fiume Mesima descrive bene la sofferenza del territorio, con l’equilibrio del sistema fluviale messo a dura prova se non addirittura irrimediabilmente compromesso. E’ uno dei malati gravi che Legambiente “visita” ogni anno. Quinto fiume della regione, attraversa il territorio della provincia di Vibo Valentia e sfocia nel Tirreno reggino, vicino a Rosarno. Lungo il suo corso viene contaminato dai reflui non trattati di almeno 18 comuni dell’entroterra vibonese, per i quali è di fatto un canale di scolo. A questo si aggiunge il contributo finale di altri comuni della provincia di Reggio. E a peggiorare la situazione ci sono anche gli affluenti, anch’essi in cattive condizioni, nonché la presenza di numerosi scarichi abusivi. Purtroppo l’antifona non cambia per gli altri fiumi che Goletta Verde incrocia nel suo annuale monitoraggio costiero. Come per il torrente Fiumarella, a Pellaro in provincia di Catanzaro, che sfocia nel mar Jonio vicino alle spiagge affollate di bagnanti portandosi dietro acque inquinate da scarichi abusivi. E come per le foci del Neto, a Strongoli (Kr), dell’Aron a Cetraro e del Lao a Scalea nel territorio cosentino, dell’Angitola, del Petrace e del Budello nella piana di Gioia Tauro. Risultano fortemente inquinati il Coriglianeto, il San Francesco, il Sant’Anna, il Brace,il Praia Longa e la fiumara Ruffa. Oltre alle foci, ci sono i campionamento effettuati in tratti di litorale, spesso a ridosso delle città, dove sboccano le condotte dei depuratori e gli scarichi abusivi. Da codice rosso due sbocchi di canali analizzati al lido comunale e in località Catona a Reggio Calabria. Sos infine anche per lo scarico del depuratore nella zona industriale di Lamezia Terme e per alcuni scarichi in località villaggio Sabbie Bianche a Reggio, a Ricadi e in località Lazzaro a Motta San Giovanni. La scelta di Legambiente di orientare i controlli sullo stato di salute dei fiumi e di monitorare tratti di mare poco frequentati, deriva anche dal nuovo contesto legislativo rispetto alle acque di balneazione. “Mare pulito per decreto” titola Goletta Verde pronta a salpare per la crociera 2010. Infatti dall’estate dello scorso anno entrano in vigore nuove norme e così l’81% dei 22 km di costa off-limits fino all’anno prima, ora è magicamente riaperto ai bagnanti. Ma non perché improvvisamente pulito, bensì perché il nostro Paese (che aveva una delle leggi più rigorose d’Europa) ha deciso di alzare i valori soglia approfittando della Direttiva europea (2006/7/CE) in materia. Ed è così che, tranne Cosenza che si limita a riaprire il 64% delle spiagge non balneabili fino a pochi mesi prima, le altre Province rendono praticabili ai bagnanti il 100% del loro litorale. Un passo indietro normativo che, non solo in Calabria ma anche nel resto d’Italia, va a sommarsi al cronico deficit in tema di depurazione delle acque reflue: il nostro Paese scarica ancora in mare (nonché nei laghi e nei fiumi) il 30% delle acque di fogna senza alcun trattamento, ovvero i liquami di ben 18 milioni di italiani.

5. Le proposte di Legambiente

Dieci anni di gestione straordinaria, centinaia di milioni di euro stanziati per mettere a norma impianti guasti o ripristinare quelli in stato di totale abbandono e quindi inutilizzabili. Eppure ancora oggi la Calabria non riesce a uscire dal tunnel della mala depurazione. E a pochi mesi dalla stagione balneare 2011 la prospettiva dell’ennesima estate con il mare inquinato è molto più di un presagio. Per queste ragioni è indispensabile intervenire subito, senza sperare, ovviamente, in soluzioni miracolistiche ma indicando una forte e concreta inversione di tendenza. La nostra associazione avanza cinque proposte specifiche:

a) La campagna “Acque pulite”: Legambiente chiama all’appello il senso di responsabilità dei sindaci, tutori della salute pubblica, perché si facciano garanti degli interventi necessari per mettere in efficienza il sistema e risolvere così una volta per tutte il problema della depurazione. I sindaci delle città e dei piccoli centri calabresi, sulla costa come nell’entroterra, devono essere promotori e protagonisti di una campagna “Acque pulite”. In stretta collaborazione con i tecnici dell’Arpacal, gli enti locali devono avviare subito un monitoraggio capillare degli impianti, verificandone le criticità, il deficit di funzionamento e individuando le misure necessarie al ripristino della completa funzionalità. Partendo dalla consapevolezza che correggere gli errori di gestione è già un passo importante verso la soluzione dei problemi;

b) Il Piano di interventi immediati: a costi contenuti, o nulli, possono essere effettuati i seguenti interventi nel sistema di gestione delle acque reflue. 1) Adeguare il servizio di depurazione secondo quanto previsto dalla normativa comunitaria, prevedendo impianti che abbiano almeno il trattamento secondario, ovvero oltre alla grigliatura anche il trattamento biologico per l’abbattimento dell’inquinamento organico degli scarichi, anche se l'unico sistema che garantisce una depurazione completa è quello terziario , in cui c'è una fase ulteriore di trattamento chimico con disinfezione finale. 2) Separare le acque bianche dalle acque nere. Oggi la gran parte dei comuni non lo fa e per questa ragione l’eccessiva portata che in caso di pioggia arriva ai depuratori spesso manda in tilt il sistema, specialmente dove non esiste un limitatore di portata. 3) Munire gli impianti di disoleatore. Si tratta di un sistema studiato per la raccolta di oli e grassi che vengono trattenuti dal depuratore evitando che finiscano in mare. Questo vale soprattutto per le località turistiche dove esiste una forte concentrazione di ristoranti e alberghi a cui deve essere imposto un severo sistema di raccolta differenziata, a cominciare dagli oli esausti nelle cucine. 4) Verificare l’idoneità delle ditte che partecipano alle gare d’appalto per la gestione degli impianti. Allo stesso modo se si tratta di imprese che ricevono l’incarico per via diretta dalle amministrazioni. Oggi, specialmente quando si tratta di ditte locali, non esiste la competenza e la professionalità necessaria a garantire una corretta funzionalità del sistema di depurazione. 5) Eliminare i costi elettrici dall’importo del contratto di gestione. Per poter garantire un’offerta contenuta e aggiudicarsi l’appalto, infatti, le ditte oggi risparmiano sull’uso dell’elettricità, facendo funzionare l’impianto a ore alterne. 6) Controllare l’attività degli auto spurghi, che specialmente d’estate quando il lavoro aumenta, scaricano anche in impianti già al limite della saturazione, rendendo ancora più critica la loro capacità di depurazione;

c) La task force regionale: la Regione Calabria dovrebbe sostenere direttamente sia la campagna “Acque pulite” che il “Piano di interventi immediati”, creando una task force specifica in grado di garantire il necessario supporto tecnico e amministrativo e gestire, d’intesa con le amministrazioni comunali, gli eventuali finanziamenti. Alla task force dovrebbe essere affidato anche il compito di monitorare i risultati ottenuti e affrontare eventuali criticità;

d) Il coordinamento della attività di controllo: la Regione Calabria potrebbe farsi promotrice di una sorta di cabina di regia in cui coinvolgere ArpaCal, Comando per la tutela dell’Ambiente dell’Arma dei carabinieri, Capitanerie di porto, Guardia di Finanza (in particolare i Reparti aereo navali), Corpo forestale dello Stato e Polizie provinciali per definire e programmare le attività di controllo sul territorio regionale relative al ciclo dell’acqua (dagli scarichi alla depurazione);

e) Il programma regionale di investimenti: sulla base delle attività proposte nei punti precedenti e dei risultati ottenuti, la Regione Calabria dovrebbe verificare la programmazione degli investimenti, adeguandola - se del caso - alle esigenze specifiche che dovessero emergere (nuove aree di crisi individuate, interventi puntuali di emergenza, revisione di progetti già finanziati etc.).

Appendice normativa

Principali Ordinanze della Presidenza del consiglio dei ministri durante il periodo commissariale: Opcm 2881 del 30 novembre 1998 Opcm 2984 del 31 maggio 1999 Opcm 3106 del 20 febbraio 2001 Opcm 3512 del 6 aprile 2006 Opcm 3645 del 22 gennaio 2008

Relazione finale ERDF-IT-Depuratori dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode della Commissione Europea (OLAF), ottobre 2010

Decreto del Ministro della Salute e Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 26 marzo 2010 di attuazione del D.Lgs n° 116 del 2008.

Decreto Legislativo 30 maggio 2008, n. 116 “Attuazione della direttiva 2006/7/CE relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione e abrogazione della direttiva 76/160/CEE”

Decreto legislativo 11 luglio 2007, n. 94, recante attuazione della direttiva 2006/7/CE, concernente la gestione delle acque di balneazione, nella parte relativa all’ossigeno disciolto

Direttiva 2006/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 febbraio 2006 relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione e che abroga la direttiva 76/160/CEE

Attuazione della Legge Galli: Delibera della Giunta Regionale del 7/09/1998, n. 4389 e Delibera Giunta Regionale del 07/09/1998, n. 4388

D.Lgs 152 del 2006 (Testo unico ambientale o Codice ambiente) - parte III - Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idriche

L.R. 3/10/1997, n.10 “Norme in materia di valorizzazione e razionale utilizzazione delle risorse idriche e di tutela delle acque dall’inquinamento. Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali (A.T.O.) per la gestione del servizio idrico integrato, (BUR n. 102 del 9 ottobre 1997)

L. 5 gennaio 1994, n. 36 (Legge Galli) “Disposizioni in materia di risorse idriche”

Direttiva del Consiglio del 21 maggio 1991 concernente il trattamento delle acque reflue urbane (91/271/CEE), Direttiva Ue sul trattamento delle acque reflue urbane già citata per la procedura d’infrazione avviata contro l’Italia.

Dpr 470 del 1982 “Attuazione della direttiva (CEE) n. 76/160 relativa alla qualità delle acque di balneazione”

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