La
presenza dei fiumi ha sempre rappresentato per l'uomo una parte importante
della sua vita e del suo sviluppo economico; ma ha anche creato dei problemi
relativi alla sua sicurezza. Infatti, se è vero che i fiumi, e l'acqua più in
generale, rappresentano la materia prima che alimenta la vita dell'uomo, è
purtroppo anche vero che essi molte volte diventano causa di morte e di
distruzione. Per il nostro paese il problema della difesa dalle alluvioni
ha preso corpo dopo i grandi disastri causati dall'alluvione del Po nel
Polesine nel 1951, dalla frana del Vajont nel 1963 e dall'alluvione dell'Arno a
Firenze nel 1966, Sarno, Soverato,Giampilieri, Scaletta, Bivona, Genova e ora in Sardegna e Calabria Ionica.
Che
cosa sono le alluvioni ?
Per
alluvione si intende lo straripamento di una piena relativamente elevata, sopra
gli argini naturali o artificiali di un corso d'acqua. Spesso l'alluvione è
accompagnata da una serie di fenomeni di dissesto del terreno che interessano
tutto il bacino del corso d'acqua in piena.
*
Le pendici ed i versanti delle valli diventano sedi di frane, scoscendimenti e
smottamenti
*
Il letto del fiume e le zone vicine vengono allagate.
LE
CAUSE
Le
cause di un'alluvione possono essere imputate sia alla natura che all'uomo.
Fattori
naturali:
*
quando forti piogge precedute da un lungo periodo piovono si sovrappongono al
fenomeno del disgelo o sono accompagnate da forti venti e temporali.
*
quando il bacino del fiume ha una forte pendenza ed è privo di vegetazione per
trattenere l'acqua che scorre.
Fattori
umani:
*
abbandono , con conseguenze degrado, di prati, pascoli e boschi
*
tagli boschi troppo intensi
*
realizzazione di opere senza rispetto dell'equilibrio preesistente nel bacino
del fiume, come la costruzione di strade a mezza costa sulla montagna con
notevoli sbancamenti, oppure la realizzazione di opere di sistemazione dei
torrenti mal progettate o mal costruite.
*
Restringimento dell'alveo dei torrenti e dei fiumi
*
Estrazione indiscriminata di materiale dall'alveo
*
Costruzione di muri disposti di traverso o lungo il corso d'acqua senza uno
stutdio approfondito delle caratteristiche di quel torrente o fiume.
*
realizzazione di sbarramenti e bacini senza tutte le cautele che simili opere
richiedono.
* Cementificazione sfrenata.
* Uso indiscriminato DISERBANTI.
PREVENZIONE
Per
poter affrontare le alluvioni ed evitarne i pericoli bisogna studiare e
conoscere tali fenomeni, soprattutto per quei torrenti o fiumi in cui si
verificano più spesso. Occorre misurare con apparecchi di registrazione i
fattori del clima che creano le condizioni di pericolo: precipitazioni
atmosferiche, temperatura, umidità, vento, pressione, radiazione solare.
Occorre misurare l'altezza dell'acqua dei torrenti o fiumi in certi punti
chiave e per molti anni. Occorre studiare più a fondo quei torrenti o fiumi che
più frequentemente sono sedi di fenomeni alluvionali e predisporre le opere di
difesa ( briglie, argini ecc.... )
LA
SITUAZIONE IN ITALIA
Frane, alluvioni, dissesto idrogeologico
I numeri che l'Italia deve cambiare
da L'ESPRESSO
Il ciclone sardo, 16 morti,
oltre 2mila sfollati, era imprevedibile. Ma c'è molto che si potrebbe
fare per tutelare persone, case, strade e città da questi eventi.
Investendo per proteggere l'ambiente. Ma dal governo non arriverà che un
decimo di quello che serve, anche quest'anno. Parla Alessandro Trigila,
tecnico dell'Ispra
di Francesca Sironi
Pioggia. Tanta, troppa,
torrenziale: 450 millimetri in 12 ore. Fermare il fango, a quel punto, è
diventato impossibile. E l'acqua ha inghiottito 16 persone,
ne ha costrette più di duemila a scappare. Un evento estremo, legato
però a una prassi costante: quella di divorare l'ambiente. «Il rischio
non si riesce mai a portare a zero, ma si può far molto per prevenire i
danni più gravi», spiega Alessandro Trigila, ricercatore dell'Ispra
(Istituto superiore per la protezione dell'ambiente) ed esperto di frane
e dissesto idrogeologico: «È ancora presto per valutare gli effetti del
ciclone, capire cosa
si sarebbe potuto evitare, ma un dato è certo: il consumo di suolo
c'entra, se consideriamo più in generale la situazione sul dissesto
idrogeologico a scala nazionale».
Lo si ripete ad ogni emergenza: bisogna ridurre la cementificazione,
fermare quegli otto metri quadri al secondo di terra che vengono
rimpiazzati, anche in questo istante, dall'asfalto. Parole che però
restano nel vuoto: le costruzioni aumentano e al posto di frenarsi su
boschi o pianure le alluvioni si abbattono su strade,
palazzi, capannoni. «Nel 1956 era urbanizzato il 2,8 per cento del
territorio. Oggi è il 7: più di due volte tanto. Consumare il suolo a
questa velocità significa aumentare l'esposizione delle persone alle
conseguenze dei fenomeni naturali». Anche perché malta e mattoni non
hanno seguito affatto il passo della popolazione: «Nel 1961 l'Italia
aveva 50 milioni di abitanti, nel 2011 sono diventati 57. Il 12 per
cento in più. Nello stesso periodo però le case sono passate da 14 a 27
milioni. Con un aumento di circa il 100 per cento».
La fotografia è desolante, e ben nota. «Ma non è irrimediabile», insiste Trigila: «Per prevenire i danni
gli interventi si possono fare: mettere in sicurezza i letti dei fiumi,
costruire argini più forti, de-localizzare i luoghi più esposti,
attivare sistemi efficaci di allarme, aggiornare costantemente le carte
dei rischi e tenerne al corrente la popolazione». Interventi possibili,
ma costosi. E il portafoglio dello Stato è sempre più risicato: «Nel
2008 lo stesso ministero dell'Ambiente aveva valutato in 40 miliardi di
euro i fondi necessari a mettere in sicurezza paesi e città. In 15 anni
ne sono stati spesi 4,25. Ovvero 300 milioni all'anno: troppo poco. E
come se non bastasse nell'ultima legge di stabilità i finanziamenti a
questo scopo sono stati ridotti ancora, a un decimo: 30 milioni per il
2014».
Nel frattempo poi, sono iniziati gli effetti, concreti, del cambiamento climatico, per cui «eventi
atmosferici gravi come le alluvioni», spiega il ricercatore: «che prima
si ripetevano a grandi distanze di tempo, oggi sono sempre più intensi e
ravvicinati», per cui tutte le infrastrutture che non li avevano
considerati affatto ora sono molto più esposte.
«Per questo è fondamentale il monitoraggio», conclude Trigila: «Noi lo
facciamo con le frane: un database nazionale pubblico e consultabile
dove c'è traccia delle 487mila frane segnalate dai tempi dei romani,
così come i luoghi in cui potrebbero avvenire». Per le alluvioni a
tenere conto dei dati sono le Autorità di bacino, ora in via di
riorganizzazione. Un riferimento costante, nazionale, non c'è: «Quello
che sappiamo è che ci sono 12.873 chilometri quadrati di suolo a
criticità idraulica, senza nemmeno considerare gli scenari più
catastrofici», come quello che ora ha colpito la Sardegna.
«Bisognerebbe essere rigidi, oggi, almeno sui vincoli: vietare di
aumentare i rischi nei piani regolatori», chiede Trigila. Ma questo,
nelle mani dei politici, significherebbe molti soldi in meno nelle
casse dei comuni. Per cui più che un consiglio, è una speranza.
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