Maroni: figura da peracottai «I limiti del governo dei professori emergono evidenti anche in politica estera, ci fanno fare una figura da peracottai»: lo scrive l'ex ministro dell'Interno, Roberto Maroni, sul suo profilo Facebook, riferendosi alla vicenda dei due marò arrestati in India. «Sono convinto - ha aggiunto l'esponente della Lega - che con il ministro Frattini la vicenda marò si sarebbe risolta subito e positivamente. Solidarietà ai nostri valorosi soldati». Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/YJesh
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Sono passati quasi due mesi dalla carcerazione dei marò, reclusi in un carcere in India con l'accusa di aver ucciso due pescatori sparando dalla petroliera Lexie, che si trovava in acque internazionali, durante il servizio anti-pirateria affidato agli uomini del battaglione San Marco.
Resta irrisolta la giurisdizione del processo, per la quale si attende ancora sentenza. La contesa vede le due parti protagoniste in netta antitesi:
l’Italia la reclama trovandosi la nave, al momento dell’accaduto in acque internazionali con bandiera italiana battente, oltretutto trattasi di militari in servizio antipirateria; l’India, dal canto suo, non vuole rinunciare a processare i militari italiani, portando avanti una battaglia il cui verdetto sembra scritto già prima ancora della formulazione delle accuse.
La nave Lexie, ancora in stato di fermo in acque indiane a disposizione per ulteriori perizie, ha atteso a lungo l’autorizzazione a salpare, giunta dal giudice di primo grado della corte di Kerala e subito annullata per vizio di competenza, giacché il giudizio spetterebbe alla magistratura di Kollam.
Nel frattempo trapelano notizie ufficiose circa i risultati degli esami balistici, condotti ad opera del Forensic Sciences Laboratory, sulle armi sequestrate sulla nave Lexie e che confermerebbero che le armi da cui sono partiti i colpi che hanno ucciso i due pescatori, sono i due fucili Beretta ARX-160, in dotazione al reggimento San Marco.
Il rapporto sarebbe ora nelle mani della magistratura indiana.
Condotti i test di tiro, gli esami balistici e i test sulle impronte digitali viene rilevata, dagli indiani, la compatibilità tra i proiettili recuperati dalle vittime e le rigature delle canne di due fucili.
La tesi però, si presenta confusa e vacillante; due caratteristiche che hanno contrassegnato dall’inizio della vicenda e l’investigazione e l’iter giuridico.
La tesi balistica che confermerebbe la colpevolezza dei marò è metaforicamente paragonabile ad un gatto che si arrampica sui vetri.
La perizia indiana afferma che quello utilizzato per uccidere i pescatori è un calibro 7,62; mentre quelli in dotazione ai marò, nonché le stesse rinvenute a bordo della nave Lexie, sono i Beretta AR 70/90 avente il calibro 5,56. Da ciò si può dedurre che l’accusa monta le basi della propria tesi su un proiettile inesistente.
Le autorità dell’India stanno dunque trattenendo in carcere i fucilieri della Marina, Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, senza prove concrete a loro imputabili.
Tra i fucili sequestrati a bordo della Lexie: sei fucili AR 70/90 e due mitragliatrici Minimi ma nessun ARX-160, da cui sarebbero partiti i colpi secondo l’accusa indiana.
L’Ingeniere Di Stefano, perito tecnico di nota fama che ha seguito le operazioni di studio balistico della vicenda, ha redatto un rapporto tecnico che smonta le già vacillanti tesi degli indiani.
“Molti elementi non quadrano. A cominciare dall’autopsia effettuata dall’anatomopatologo del Tribunale indiano, il professor Sisikala, che ha recuperato il proiettile dal corpo di uno dei due pescatori uccisi, definendolo calibro 0,54 pollici, pari a 13 millimetri cioè un calibro oggi inesistente…..Il proiettile è stato repertato con misure indicate in modo criptico e furbesco…. Se Sisikala avesse espresso le misure del proiettile in forma canonica, cioè con calibro e lunghezza in millimetri, avrebbe scritto calibro 7,62 e lunghezza 31 millimetri. Il caso sarebbe già chiuso dal 16 febbraio, giorno successivo al fatto e giorno dell’autopsia. Invece del diametro ha reso nota la circonferenza (credo sia la prima volta al mondo) e invece dei millimetri ha usato i centimetri.“
Di Stefano conferma che il proiettile appartiene ad una mitragliatrice russa PK, ben diversa dalla Beretta AR 70/90 o dalle mitragliatrici Minimi, in dotazione al reparto italiano.
Il sospetto, che trova conferma nella realtà, è che le autorità indiane sono state a conoscenza fin da subito che il calibro non appartiene ai proiettili italiani. Un’ispezione alle canne dei fucili Beretta avrebbe dissipato ogni dubbio.
Il garbuglio e la confusione generate per camuffare una realtà evidente, cioè l’innocenza dei militari, è palese anche dall’estromissione dei tecnici dell’Arma dei Carabinieri alle indagini, ammettendone la presenza solo in veste di osservatori.
A completare la malafede indiana aggiungiamo le versioni più volte cambiate degli occupanti del peschereccio a bordo del quale si trovavano le vittime, tra le quali ricordiamo l’ora dell’attacco riferito: le 16,15 che coincide con una posizione ben distante dalla Lexie, posizionata a 27 miglia più a nord della piccola imbarcazione.
Successivamente all’evento, la Guardia Costiere chiede a 4 delle 5 navi presenti nella zona, tra cui la Lexie, di entrare nel porto indiano per indagini, escludendo l’imbarcazione greca Olimpyc Flairs, nonostante questa avesse appena denunciato di aver subito un attacco pirata.
La Corte di Kerala ha paragonato la morte dei due pescatori ad un atto di terrorismo, determinato da presunti spari contro l’imbarcazione senza segnale di preavviso, mentre gli occupanti dormivano, in pieno giorno. Alla definizione di terrorismo l’India è approdata per giustificare l’applicazione della giurisdizione indiana in acque internazionali, come prevede il trattato Sua Act (Suppression of Unlawful Acts against the Safety of Maritime Navigation).
Nel frattempo i marò sono stati sottoposti ad un ulteriore interrogatorio da parte della polizia indiana al quale si sono rifiutati di rispondere: “Non riconosciamo il tribunale che ci interroga; la posizione del nostro governo è che la giurisdizione su questa vicenda è italiana“.
L’assenza di prove, la strafottenza e l’aria di supremazia che caratterizza la gestione indiana della faccenda, cominciano a infastidire tutti.
Vogliamo i marò liberi, a casa nostra.
Sarebbe opportuno l’Italia assumesse un atteggiamento più duro con l’India, anche a costo di mettere da parte l’arte della diplomazia, in favore di una celere risoluzione.
La denuncia alle Nazioni Unite circa la reiterazione della violazione dei diritti, sarebbe una tematica da far valere, sottolineandone il peso e non una “toccata e fuga” dell’argomento.
L’assenza di tutela dei servizi in mare come quello dell’antipirateria, è disarmante.
A tal proposito il Cocer, organo di rappresentanza militare, ribadisce al capo di Stato maggiore delle Difesa, generale Abrate, che se la vicenda si concluderà con un processo indiano dei due marò, le scelte saranno: o la revisione di regole di ingaggio o la loro rinuncia.
Il 13 aprile a Kerala si sospenderanno per un mese di ferie i lavori degli uffici pubblici, tra i quali quelli in tribunale, che vedranno la sostituzione dei giudici con i vacation judges, giudici supplenti peraltro poco affidabili.
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