Calabria: rischio idrogeologico. Cosa fare nella regione storicamente più colpita da alluvioni e frane?
DICEMBRE 2013
Nadia Fotia
Francesco Fragale, presidente dell’Ordine dei geologi della Calabria: “Il territorio regionale è ad alto rischio idrogeologico, tutti i comuni sono interessati da almeno un’area a rischio censita dal Pai”. I primi giorni dell’autunno hanno drammaticamente riportato all’attualità il problema del rischio idrogeologico su tutto il territorio nazionale: Liguria, Toscana, Puglia, Sicilia sono state, infatti, le prime regioni a dover fare i conti con il problema delle forti piogge e le conseguenti frane o esondazioni di torrenti e fiumi.
Precipitazioni, purtroppo, sempre più intense e frequenti per i cambiamenti climatici in atto, su di un territorio, quello calabrese, che ogni anno è reso sempre più vulnerabile. Abusivismo edilizio, estrazione illegale di inerti, disboscamento indiscriminato, cementificazione selvaggia, abbandono delle aree montane, agricoltura intensiva: sono tutti fattori che contribuiscono in maniera determinante a sconvolgere l’equilibrio idrogeologico del suolo.
Purtroppo le regioni e i cittadini coinvolti sono destinati ad aumentare. Sono infatti più di 5 milioni gli italiani che ogni giorno vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio idrogeologico e 6.633 sono i comuni che hanno all’interno del territorio aree ad elevato rischio di frana o alluvione.
La difesa del suolo e le politiche di prevenzione del rischio sono ormai veramente urgenti, come ricordato anche nelle recenti risoluzioni approvate alla Camera e al Senato. Nuovi fondi per la prevenzione però non arrivano nemmeno quest’anno, o ne arrivano troppo pochi. La legge di stabilità varata dal Governo infatti sblocca 1,3 miliardi di euro per interventi immediatamente cantierabili in attuazione degli accordi di programma fatti con le Regioni per far fronte alla somma urgenza e ne stanzia di nuovi solo 180 milioni in tre anni così divisi: 30 milioni per il 2014, 50 per il 2015 e 100 per il 2016.
Risorse assolutamente insufficienti e, soprattutto, che non vengono destinate per un’azione necessaria e integrata di difesa del suolo e mitigazione del rischio idrogeologico quanto mai necessaria, oltre che urgente.
In Italia il rischio frane e alluvioni interessa praticamente tutto il Paese (due comuni su tre): Calabria, Umbria e Valle d’Aosta sono le regioni più minacciate, insieme alle Marche e alla Toscana. Oltre 5 milioni di cittadini a rischio. Le frane e le alluvioni riguardano l’82% dei comuni italiani. Un territorio estremamente fragile, in cui, semplici temporali, provocano allagamenti e disagi importanti per la popolazione. Se al Sud la costante aggressione al territorio continua a manifestarsi principalmente con l’abusivismo edilizio, al centro-nord si perpetuano interventi di gestione dei fiumi che seguono filosofie tanto vecchie quanto inefficaci, che puntano su infrastrutture rigide, invece che sul rispetto e l’attenzione alla dinamica e all’habitat fluviale naturale: argini realizzati senza un serio studio sull’impatto a valle, alvei cementificati, escavazione selvaggia. Soprattutto, troppo spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire nelle aree di esondazione. Circa due comuni su tre, infatti, hanno nel proprio territorio abitazioni in aree di golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana. Continuare a finanziare gli interventi di somma urgenza e solo nuovi 180 milioni di euro per tre anni, non sono, purtroppo, la soluzione.
Occorre ottimizzare la spesa pubblica: dall’emergenza si deve passare alla prevenzione.
Associazioni ambientaliste e di categoria, ordini professionali ed enti locali sono concordi nel ritenere come la mitigazione del rischio idrogeologico è oggi la vera priorità. Per Francesco Fragale, presidente dell’Ordine dei geologi della Calabria, a cui abbiamo chiesto un’analisi della situazione attuale in Calabria, “il territorio regionale è ad alto rischio idrogeologico, tutti i comuni sono interessati da almeno un’area a rischio censita dal PAI (Piano Assetto Idrogeologico). In relazione al numero di eventi/anno, la Calabria, insieme alla Toscana, detiene, purtroppo, il triste primato di regione storicamente più colpita da alluvioni e frane. La vulnerabilità del territorio regionale è storicamente nota. Basti ricordare soltanto qualcuno dei gravi eventi verificatisi negli ultimi 60 anni: le alluvioni del 1951, del 1972-73, le alluvioni degli anni ‘80, i fenomeni alluvionali di Crotone nel 1996, di Soverato nel 2000, la frana di Cavallerizzo di Cerzeto nel 2005, la frana di Maierato nel 2010, la recente alluvione degli scavi di Sibari nel 2012, fino agli ultimi eventi di novembre 2013.
Purtroppo le regioni e i cittadini coinvolti sono destinati ad aumentare. Sono infatti più di 5 milioni gli italiani che ogni giorno vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio idrogeologico e 6.633 sono i comuni che hanno all’interno del territorio aree ad elevato rischio di frana o alluvione.
La difesa del suolo e le politiche di prevenzione del rischio sono ormai veramente urgenti, come ricordato anche nelle recenti risoluzioni approvate alla Camera e al Senato. Nuovi fondi per la prevenzione però non arrivano nemmeno quest’anno, o ne arrivano troppo pochi. La legge di stabilità varata dal Governo infatti sblocca 1,3 miliardi di euro per interventi immediatamente cantierabili in attuazione degli accordi di programma fatti con le Regioni per far fronte alla somma urgenza e ne stanzia di nuovi solo 180 milioni in tre anni così divisi: 30 milioni per il 2014, 50 per il 2015 e 100 per il 2016.
Risorse assolutamente insufficienti e, soprattutto, che non vengono destinate per un’azione necessaria e integrata di difesa del suolo e mitigazione del rischio idrogeologico quanto mai necessaria, oltre che urgente.
In Italia il rischio frane e alluvioni interessa praticamente tutto il Paese (due comuni su tre): Calabria, Umbria e Valle d’Aosta sono le regioni più minacciate, insieme alle Marche e alla Toscana. Oltre 5 milioni di cittadini a rischio. Le frane e le alluvioni riguardano l’82% dei comuni italiani. Un territorio estremamente fragile, in cui, semplici temporali, provocano allagamenti e disagi importanti per la popolazione. Se al Sud la costante aggressione al territorio continua a manifestarsi principalmente con l’abusivismo edilizio, al centro-nord si perpetuano interventi di gestione dei fiumi che seguono filosofie tanto vecchie quanto inefficaci, che puntano su infrastrutture rigide, invece che sul rispetto e l’attenzione alla dinamica e all’habitat fluviale naturale: argini realizzati senza un serio studio sull’impatto a valle, alvei cementificati, escavazione selvaggia. Soprattutto, troppo spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire nelle aree di esondazione. Circa due comuni su tre, infatti, hanno nel proprio territorio abitazioni in aree di golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana. Continuare a finanziare gli interventi di somma urgenza e solo nuovi 180 milioni di euro per tre anni, non sono, purtroppo, la soluzione.
Occorre ottimizzare la spesa pubblica: dall’emergenza si deve passare alla prevenzione.
Associazioni ambientaliste e di categoria, ordini professionali ed enti locali sono concordi nel ritenere come la mitigazione del rischio idrogeologico è oggi la vera priorità. Per Francesco Fragale, presidente dell’Ordine dei geologi della Calabria, a cui abbiamo chiesto un’analisi della situazione attuale in Calabria, “il territorio regionale è ad alto rischio idrogeologico, tutti i comuni sono interessati da almeno un’area a rischio censita dal PAI (Piano Assetto Idrogeologico). In relazione al numero di eventi/anno, la Calabria, insieme alla Toscana, detiene, purtroppo, il triste primato di regione storicamente più colpita da alluvioni e frane. La vulnerabilità del territorio regionale è storicamente nota. Basti ricordare soltanto qualcuno dei gravi eventi verificatisi negli ultimi 60 anni: le alluvioni del 1951, del 1972-73, le alluvioni degli anni ‘80, i fenomeni alluvionali di Crotone nel 1996, di Soverato nel 2000, la frana di Cavallerizzo di Cerzeto nel 2005, la frana di Maierato nel 2010, la recente alluvione degli scavi di Sibari nel 2012, fino agli ultimi eventi di novembre 2013.
La fragilità del territorio regionale è legata a diversi fattori, quali le sue particolari caratteristiche geologiche e geomorfologiche, la insufficiente cura manutentiva, la realizzazione di interventi di urbanizzazione spesso insensati e/o abusivi. La concomitanza di questi fattori, associata alla manifestazione di eventi climatici particolarmente intensi, rompono facilmente l’equilibrio del fragile sistema idrogeologico. Che ne pensa?
In Calabria sono state censite circa 8.000 frane che coprono oltre 800 kmq di territorio; mentre circa 400 kmq del territorio regionale è esposto a rischio idraulico, oltre l’80% dei Comuni calabresi presenta abitazioni che ricadono in area a rischio frana o alluvione. Esistono anche edifici pubblici che ricadono in zone a rischio di dissesto idrogeologico.
Pertanto è evidente che l’attenzione deve rimanere sempre alta.
Pertanto è evidente che l’attenzione deve rimanere sempre alta.
Cosa è stato fatto dalla Regione Calabria e dalle istituzioni a livello nazionale?
Purtroppo si continua ad investire soprattutto in emergenza ed è noto, ormai, che intervenire in emergenza può raggiungere costi fino a dieci volte maggiori che intervenire in prevenzione. Invece si continuano a sciupare risorse economiche, che se utilizzate in prevenzione, potrebbero restituire risultati sicuramente più vantaggiosi, a beneficio, anche dell’incolumità della collettività. In Calabria dal 2008 al 2012, gli eventi di dissesto geo-idrologico che hanno colpito intensamente il territorio regionale, hanno provocato danni stimati per oltre un miliardo e mezzo di euro. Negli ultimi quindici anni nove ordinanze di Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno riguardato la Calabria. Tuttavia spesso si è intervenuti senza una chiara logica di prevenzione per la mitigazione del rischio.
Per l’emergenza Soverato sono stati erogati circa cinquecento milioni di euro. Dal 1989 al 2009 sono stati destinati circa trecento milioni di euro di fondi ordinari per interventi di “Difesa del suolo”.
Per sanare i danni provocati dagli eventi verificatisi nel corso della stagione invernale 2008-2009 (interventi strutturali, OPCM n. 3471/2009), sono stati impegnati circa 170 milioni di euro: cifra che sembrerebbe rilevante ma che rappresenta soltanto il 20% dei danni prodotti.
Attualmente, gli investimenti di cui all’Accordo di Programma Quadro, siglato nel 2010 tra la Regione Calabria ed il Ministero dell’Ambiente, che prevedeva finanziamenti per 220 milioni di euro per interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, risultano ancora in fase di lenta attuazione, e non si fa in tempo a ripristinare i danni prodotti da eventi verificatisi negli anni passati, che se ne sommano altri prodotti da eventi successivi. Purtroppo ci si ostina a lesinare sugli investimenti da destinare alla difesa del suolo. La recente Legge di Stabilità pare abbia previsto per interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, su scala nazionale, 180 milioni di euro in tre anni, che nulla rappresentano rispetto ai 40 miliardi di euro stimati, qualche tempo fa dal già ministro Corrado Clini, per mettere in sicurezza, in maniera ragionevole, il territorio nazionale. Tuttavia, devo riconoscere che il Dipartimento di Protezione cvile regionale, negli ultimi tempi, ha mostrato, almeno, particolare attenzione verso l’educazione dei cittadini ai rischi naturali cui è esposto il territorio, promuovendo diverse iniziative di informazione e formazione, informando ed addestrando i cittadini anche sui comportamenti da tenere in caso di emergenza. Ritengo che l’educazione dei cittadini verso i rischi ai quali è esposto il proprio territorio e verso la cultura alla protezione civile, rappresenti il primo grande passo verso la prevenzione. Intanto la frequenza con cui si manifestano i disastri geo-idrologici sul territorio nazionale non è più accettabile.
Per l’emergenza Soverato sono stati erogati circa cinquecento milioni di euro. Dal 1989 al 2009 sono stati destinati circa trecento milioni di euro di fondi ordinari per interventi di “Difesa del suolo”.
Per sanare i danni provocati dagli eventi verificatisi nel corso della stagione invernale 2008-2009 (interventi strutturali, OPCM n. 3471/2009), sono stati impegnati circa 170 milioni di euro: cifra che sembrerebbe rilevante ma che rappresenta soltanto il 20% dei danni prodotti.
Attualmente, gli investimenti di cui all’Accordo di Programma Quadro, siglato nel 2010 tra la Regione Calabria ed il Ministero dell’Ambiente, che prevedeva finanziamenti per 220 milioni di euro per interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, risultano ancora in fase di lenta attuazione, e non si fa in tempo a ripristinare i danni prodotti da eventi verificatisi negli anni passati, che se ne sommano altri prodotti da eventi successivi. Purtroppo ci si ostina a lesinare sugli investimenti da destinare alla difesa del suolo. La recente Legge di Stabilità pare abbia previsto per interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, su scala nazionale, 180 milioni di euro in tre anni, che nulla rappresentano rispetto ai 40 miliardi di euro stimati, qualche tempo fa dal già ministro Corrado Clini, per mettere in sicurezza, in maniera ragionevole, il territorio nazionale. Tuttavia, devo riconoscere che il Dipartimento di Protezione cvile regionale, negli ultimi tempi, ha mostrato, almeno, particolare attenzione verso l’educazione dei cittadini ai rischi naturali cui è esposto il territorio, promuovendo diverse iniziative di informazione e formazione, informando ed addestrando i cittadini anche sui comportamenti da tenere in caso di emergenza. Ritengo che l’educazione dei cittadini verso i rischi ai quali è esposto il proprio territorio e verso la cultura alla protezione civile, rappresenti il primo grande passo verso la prevenzione. Intanto la frequenza con cui si manifestano i disastri geo-idrologici sul territorio nazionale non è più accettabile.
Cosa si può e si deve fare nel breve e lungo periodo, anche alla luce della situazione nazionale?
Innanzitutto necessita maggiore cura, controllo e manutenzione del territorio, che in Italia, negli ultimi decenni, è stato maltrattato e trascurato. Basti pensare che da oltre 50 anni, nel nostro Paese, vengono consumati, in media 7 mq al secondo di suolo ed ogni anno viene cementificata una superficie pari di circa 300 kmq. Inoltre, a causa dell’urbanizzazione sfrenata, negli ultimi 25 anni sono stati erosi circa 160 km di litorale. Naturalmente, per fronteggiare le criticità idrogeologiche è necessario cominciare proprio da una pianificazione del territorio organica ed equilibrata, e con l’immediato censimento e messa in sicurezza delle aree ad alta criticità.
La politica deve sforzarsi ad investire decisamente nella prevenzione. La pianificazione organica e la manutenzione accurata del territorio, assieme ad iniziative volte all’educazione dei cittadini rispetto ai rischi del proprio territorio, penso che rappresentino le strategie di base per contrastare le criticità idrogeologiche del territorio. Bisognerebbe evitare di intervenire post-evento, ma puntare sulle azioni preventive attraverso la manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua, dei versanti a rischio, il potenziamento delle reti di monitoraggio, anche diretto, attraverso l’impiego di professionisti tecnici esperti e conoscitori del territorio (geologi, ingegneri idraulici ecc), in modo da creare una rete di professionisti distribuiti sul territorio regionale, che possano presiedere e monitorare costantemente le aree a più alta criticità.
Bisognerebbe, inoltre, prevedere l’aumento della presenza di professionisti esperti, quali geologi, nella pubblica amministrazione, ove spesso, tale figura professionale, è scarsamente rappresentata.
Sarebbe necessario, inoltre, sia l’aggiornamento del PAI (Piano Stralcio Assetto Idrogeologico, la cui ultima stesura risale al 2001), che rappresenta un importante strumento di pianificazione in modo da consentire la mappatura delle criticità idrogeologiche del territorio, sia di un Piano di Emergenza Comunale, indispensabile strumento per la prevenzione dei rischi. Nonostante, infatti, la legge 100/2012 prescriva a tutti i comuni di esserne dotati, in Calabria soltanto il 54% di essi ha ottemperato a tale obbligo, rappresentando il fanalino di coda, a livello nazionale, insieme con il Lazio (40%), la Campania (39%) e la Sicilia (49%).
Infine, sarebbe auspicabile una ridistribuzione, a livello normativo, di compiti e funzioni fra pochi enti. Troppi, infatti, allo stato attuale, gli organismi preposti al controllo, che sovente si intrecciano e si ingarbugliano tra loro, creando, spesso, disagi e ritardi nella gestione delle delicatissime problematiche del territorio”.
La politica deve sforzarsi ad investire decisamente nella prevenzione. La pianificazione organica e la manutenzione accurata del territorio, assieme ad iniziative volte all’educazione dei cittadini rispetto ai rischi del proprio territorio, penso che rappresentino le strategie di base per contrastare le criticità idrogeologiche del territorio. Bisognerebbe evitare di intervenire post-evento, ma puntare sulle azioni preventive attraverso la manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua, dei versanti a rischio, il potenziamento delle reti di monitoraggio, anche diretto, attraverso l’impiego di professionisti tecnici esperti e conoscitori del territorio (geologi, ingegneri idraulici ecc), in modo da creare una rete di professionisti distribuiti sul territorio regionale, che possano presiedere e monitorare costantemente le aree a più alta criticità.
Bisognerebbe, inoltre, prevedere l’aumento della presenza di professionisti esperti, quali geologi, nella pubblica amministrazione, ove spesso, tale figura professionale, è scarsamente rappresentata.
Sarebbe necessario, inoltre, sia l’aggiornamento del PAI (Piano Stralcio Assetto Idrogeologico, la cui ultima stesura risale al 2001), che rappresenta un importante strumento di pianificazione in modo da consentire la mappatura delle criticità idrogeologiche del territorio, sia di un Piano di Emergenza Comunale, indispensabile strumento per la prevenzione dei rischi. Nonostante, infatti, la legge 100/2012 prescriva a tutti i comuni di esserne dotati, in Calabria soltanto il 54% di essi ha ottemperato a tale obbligo, rappresentando il fanalino di coda, a livello nazionale, insieme con il Lazio (40%), la Campania (39%) e la Sicilia (49%).
Infine, sarebbe auspicabile una ridistribuzione, a livello normativo, di compiti e funzioni fra pochi enti. Troppi, infatti, allo stato attuale, gli organismi preposti al controllo, che sovente si intrecciano e si ingarbugliano tra loro, creando, spesso, disagi e ritardi nella gestione delle delicatissime problematiche del territorio”.
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