mercoledì 26 ottobre 2011

Dissesto idrogeologico: un problema non nuovo. La storia d’Italia è zeppa di tragici eventi alluvionali -

Dissesto idrogeologico: un problema non nuovo. La storia d’Italia è zeppa di tragici eventi alluvionali -
Da sempre l’Italia fa i conti con un territorio “fragile”: in 50 anni, dal 1960 al 2010, si contano 4.122 morti, 84 dispersi, 2.836 feriti in totale tra frane e inondazioni: è il bilancio di una ricostruzione storica dell’Istituto di ricerca e protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche.
In particolare, dal 1960 al 2010 in Italia le frane del terreno hanno provocato un totale di 3.407 morti, 15 dispersi e 1.927 feriti, contando anche disastri come il Vajont del 9 ottobre 1963 e quello della Val di Stava del 19 luglio 1985; mentre le vittime delle inondazioni sono state 715, i dispersi 69 ed i feriti 909.
A livello regionale le frane, dal 1960 al 2010, hanno provocato, in Piemonte 148 morti, 6 dispersi e 51 feriti, in Valle d’Aosta 23 morti e 24 feriti, in Lombardia 141 morti e 116 feriti, in Trentino-Alto Adige 358 morti e 256 feriti, in Veneto 1.778 morti e 99 feriti, in Friuli-Venezia Giulia 230 morti e 6 feriti, in Liguria 37 morti e 33 feriti, in Emilia-Romagna 53 morti e 79 feriti, in Toscana 69 morti, 1 disperso e 89 feriti, in Umbria 13 morti, 2 dispersi e 24 feriti, nelle Marche 13 morti e 8 feriti, nel Lazio 27 morti e 95 feriti, in Abruzzo 9 morti e 4 feriti, in Molise 4 morti e 3 feriti, in Campania 362 morti e 440 feriti, in Puglia 12 morti e 26 feriti, in Basilicata 18 morti e 26 feriti, in Calabria 37 morti e 230 feriti, in Sicilia 57 morti, 6 dispersi e 292 feriti, in Sardegna 18 morti e 26 feriti.
A causa invece delle inondazioni, sempre nei 50 anni dal 1960 al 2010, in Piemonte ci sono stati 124 morti, 5 dispersi e 102 feriti, in Valle d’Aosta 6 morti, in Lombardia 30 morti, 4 dispersi e 20 feriti, in Trentino-Alto Adige 34 morti e 6 feriti, in Veneto 28 morti e 8 feriti, in Friuli-Venezia Giulia 23 morti, 3 dispersi e 28 feriti, in Liguria 61 morti, 10 dispersi e 18 feriti, in Emilia-Romagna 17 morti, in Toscana 70 morti, 15 dispersi e 361 feriti, in Umbria 17 morti, nelle Marche 7 morti, 1 disperso e 13 feriti, nel Lazio 35 morti, 3 dispersi e 21 feriti, in Abruzzo 5 morti, in Molise 1 morto, in Campania 49 morti, 2 dispersi e 126 feriti, in Puglia 24 morti, 3 dispersi e 50 feriti, in Basilicata 10 morti e 27 feriti, in Calabria 27 morti, 1 disperso e 41 feriti, in Sicilia 107 morti, 20 dispersi e 40 feriti, in Sardegna 40 morti, 2 dispersi e 48 feriti.
E nel 2011 la somma di morti, feriti e dispersi, è già più alta della media, prima di questo evento“, sottolinea Fausto Guzzetti, direttore del Cnr-Irpi. Toscana e Liguria sono già state colpite da un alluvione l’anno scorso, ma “il problema è diffuso in tutto il territorio è un problema di interazione, tra un paesaggio, un territorio sicuramente fragile e noi intesi come comunità, che ci siamo insediati laddove non avremmo dovuto. Perché piogge forti e torrentizie, frane ed esondazioni, sono fenomeni del tutto naturali e il problema è quanto colpiscono infrastrutture. Nella grande maggioranza dei casi siamo noi che siamo andati ad insediarci in zone a rischio“. Ed “è difficile fare una graduatoria degli errori ce ne sono in tutta Italia, e cene accorgiamo solo quando ci scappa il morto. Sono tantissime le situazioni di pericolo: il problema è serio e costa molto metterci mano. Ma far finta che il problema non ci sia non lo elimina cert, anzi“. I costi di prevenzione, della cosiddetta “mitigazione del rischio” sono infatti comunque minori di quelli dei danni, tanto più se si pensa alle vittime: “la perdita delle persone è un dolore inestimabile per i familiari ma anche se si volesse fare un grezzo calcolo economico anche le stime assicurative sono altissime“. “Abbiamo infatti – spiega il dirigente – molte conoscenze e metodi per intervenire preventivamente e mitigare il rischio: monitoraggi costanti per avere una conoscenza migliore del territorio, dati satellitari, sondaggi in loco, zonazione, opere di contenimento, drenaggio, sono anche a disposizione tantissime tecniche di ingegneria naturalistica come l’uso di determinati tipi di vegetazione e colture che riducono l’impatto franoso e aiutano a mantenere i versanti. Invece – fa notare il ricercatore – in molte zone dell’Italia centrale e meridionale molte attività agroeconomiche, avviate in risposta alle politiche comunità europea, che hanno contribuito ad aumentare fenomeni di erosione e frane, come ad esempio una viticoltura esasperata o colture di grano in aree non adatte“. Ma tutti questi interventi preventivi in ogni caso “costano molto, e in questo periodo soprattutto – fa notare – come si sa non ci sono soldi“. “E’ un mix complesso fra la natura, che cambia nel tempo, e l’impatto con cambiamenti antropici e soprattutto urbanistici o infrastrutturali, ovvero la mano dell’uomo. Esiste una mappa del rischio idrogeologico, ma spesso – spiega il direttore Cnr-Irpi – gli eventi di frana sono piccoli e generalizzati“. Comunque tutte le regioni hanno i Pai, piani di assetto idrogeologico che dovrebbero individuare le aeree di rischio, e sono migliaia. Un servizio cartografico dell’Ispra e regioni di tre anni fa ha fotografato circa mezzo milione di frane, ed è “una grande sottostima“. Inoltre, spesso le costruzioni sono state edificate precedentemente all’identificazione dell’area come a rischio. In realtà, ogni specifico progetto edilizio deve essere per legge accompagnato da specifici accertamenti geologici, e qui a pesare è la qualità degli accertamenti sulla cui base vengono date le autorizzazioni.

- PEPPE CARIDI-

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