COSENZA. La complessa storia geologica della Calabria ha reso i terreni che la costituiscono estremamente fragili e, pertanto, predisposti al dissesto idrogeologico e al rischio sismico. Le calamità naturali hanno reso la regione una tra le aree al mondo più esposte ai rischi naturali: 200.000 vittime negli ultimi 250 anni e uno sviluppo socio-economico frenato al punto da rappresentare una delle principali cause d’emigrazione e di spopolamento progressivo. Di questo si parlerà venerdì prossimo, organizzato dal Rotary Club Rende, in un incontro dibattito dal titolo LA CALABRIA E IL RISCHIO IDROGEOLOGICO: È COLPA DELLA NATURA (O DELL’UOMO)? Interverranno Mario Spagnuolo (Procuratore Capo della Repubblica di Vibo Valentia) e Carlo Tansi (Geologo del Consiglio Nazionale delle Ricerche e Presidente del Rotary Club Rende). Il sindaco di Rende, Vittorio Cavalcanti, avvierà il dibattito. Le cause del dissesto idrogeologico sono da ascrivere - oltre che alla “fragilità” geologica della Regione - a precipitazioni sempre più simili a cicloni tropicali, con celle temporalesche intense, localizzate e imprevedibili che scaricano enormi quantitativi di acqua sui numerosi piccoli bacini idrografici tipici del territorio calabrese, determinando una rapida saturazione degli stessi bacini e l’innesco di diffusi fenomeni franosi e alluvionali. Altra concausa è lo spopolamento dei centri montani che non garantisce più la manutenzione del territorio un tempo assicurata da pratiche agricole di salvaguardia con la regimazione delle acque piovane, la costruzione di fossi di scolo e di muri a secco che - nel pieno rispetto della natura dei luoghi - garantivano stabilità e durevolezza degli interventi. Frane e inondazioni sono fenomeni naturali che contribuiscono a scolpire lo splendido paesaggio calabrese che noi conosciamo. Il problema si pone quando questi fenomeni interferiscono con le attività umane (persone, edifici, infrastrutture) a causa di un’evidente arrembante e incauta edificazione che, sia per l’abusivismo (34.200 sono le case abusive costruite in Calabria nel solo periodo 1994-2002; stime CRESME; 92.247 sono le “case fantasma” scovate in base alle attività di verifica portata avanti dall’Agenzia del Demanio pubblicata pochi giorni fa) che per il superficiale controllo dei progetti negli uffici preposti, ha consentito di costruire sulle frane e nei fiumi. In Calabria 9.417 erano le frane censite al 31 dicembre 2007, delle quali 5.071 (pari al 53.8 %) hanno prodotto danni a persone e cose. Delle suddette 5.071 frane il 54.3% ha provocato danni a infrastrutture viarie, il 27.7% a nuclei abitati, il 6.5% a strutture pubbliche, il 6.2% a terreni agricoli, l’1.5% a corsi d’acqua, l’1.2% a beni culturali, il 2.5% ad altro. In Calabria il 100% dei comuni ricade in aree ad elevato rischio idrogeologico. In particolare, l’88.0% dei comuni presenta almeno una zona minacciata da frane o da alluvioni con rischio R3 (elevato) o R4 (molto elevato), cioè con rischio di perdita di vite umane. 157.225 sono i calabresi residenti in aree ad elevato rischio idrogeologico, mentre 56.029 sono gli edifici che vi ricadono. 245 sono gli edifici scolastici e 15 gli edifici ospedalieri calabresi che ricadono in aree ad elevato rischio idrogeologico. I dati suindicati sono sottovalutati poiché non tengono conto delle calamità che hanno colpito la regione negli ultimi tre anni con fasi parossistiche che non si verificavano sin dai noti eventi alluvionali degli anni Cinquanta. Il rischio idrogeologico in Calabria non è stato mai fronteggiato in modo complessivo ed organico, bensì in condizioni di perenne emergenza, connessa a finanziamenti occasionali elargiti dal governo centrale a seguito dei vari noti eventi alluvionali: Crotone (1996), Soverato (2001), Vibo Valentia (2002), Borgia (2004), Cavallerizzo (2005), Vibo Valentia (2006), gli eventi alluvionali delle ultime tre stagioni invernali. In occasione delle alluvioni - a prescindere dal colore politico delle amministrazioni regionali di turno - ha prevalso la logica di una distribuzione dei fondi condizionata da perverse logiche “elettoralistiche”, piuttosto che la volontà di mettere realmente in sicurezza i territori. |
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